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La medicina che predice la malattia

La Commissione di Bioetica della Tavola Valdese ha organizzato un convegno, dal titolo “Predizione e incertezza. I test genetici nella pratica clinica“, che ha riunito a Torino studiosi italiani e stranieri di genetica e bioetica, chiamati a confrontarsi sugli aspetti etici dei test genetici predittivi. Abbiamo rivolto alcune domande a due dei relatori del convegno, per conoscere il punto di vista del teologo e del filosofo sul tema.

Sergio Rostagno


Quali problemi teologici si pongono in rapporto alla medicina predittiva?

Parlerei di problemi etici. Questi ultimi sono stati illustrati al convegno in modo esatto dalla relazione del prof. Körtner di Vienna e più sommariamente da me nella mia introduzione. Si tratta in primo luogo della possibilità di conoscere, attraverso i geni, la probabilità di certe malattie prima che se ne manifestino i sintomi. Questa però non è una questione etica in senso stretto. La questione comincia a essere anche di pertinenza etica quando si chiede anche che cosa comporta per il medico, il paziente e i suoi parenti (per le assicurazioni e per gli uffici di previsione delle Regioni, per soprammercato) il fatto di sapere o di ignorare. C’è poi il lato giuridico, lumeggiato tra altri dal prof. Rodotà: chi ha diritto di sapere? Esiste un diritto a non sapere?

Intravede un terreno di incontro e di comunicazione tra teologi, filosofi e scienziati sul tema dei test genetici? Bioetica cristiana e laica, fede e libero arbitrio…

Su tutto questo intreccio di questioni si possono udire eticisti di vario stampo (teologico, filosofico, giuridico) che interagiscono tra loro in modo interdisciplinare, secondo le varie competenze. La bioetica laica, infatti, è fatta di segmenti e di domande con varie risposte. Il metodo interdisciplinare è il più adatto a formare un’opinione condivisa, almeno a provarci. La competenza e la sensibilità teologica è attivata nel dibattito.

Com’è nato l’interesse della Tavola Valdese per la medicina predittiva?

La Commissione bioetica (non la Tavola Valdese, che è semplicemente l’ente morale che cura gl’interessi delle chiese valdesi e metodista in Italia) è stata portata su questo tema dagli sviluppi dei suoi contatti e dall’importanza della questione.

Quale vuole essere il ruolo della Commissione bioetica della Tavola Valdese?

Il ruolo della Commissione è quello di fornire alle chiese e all’opinione pubblica informazioni e orientamenti sui dibatti aperti. La Commissione tenta di evitare la contrapposizione tipicamente italiana di etica laica ed etica clericale, pensandola sviante e inutile. Tende invece a promuovere punti di vista che aiutino a far maturare le questioni e a rendere possibili le scelte inevitabili in uno spirito di umanità e di consapevolezza fondata sull’autonomia della persona.
In qualche caso la Commissione si contrappone al dirigismo dell’etica clericale, che disprezza l’autonomia e considera la persona in modo paternalistico attorniandola di divieti. In quasi tutti i problemi etici aperti, i casi della vita sono talmente diversi l’uno dall’altro da non potere essere costretti entro leggi universali. Un margine di apprezzabilità, specie nella medicina predittiva è dunque, da conservare ad ogni costo. Si parla molto di limiti e confini da non superare nelle applicazioni della scienza, ma vi sono limiti da non superare anche nella legislazione.

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Simone Pollo


Quali problemi etici si pongono in rapporto alla medicina predittiva?

Ad un livello generale, possiamo dire che la medicina predittiva solleva una delle domande “classiche” della bioetica, ovvero la questione di quanto spazio si debba riconoscere alla scelta umana. Di fronte alla medicina predittiva, infatti, ricorre spesso la “tentazione della natura”, cioè l’idea che gli esseri umani ambiscono a sapere e controllare troppo e che, sul piano morale, talora sarebbe meglio che la natura facesse il suo corso. Si tratta di una tentazione comprensibile se pensiamo ai casi in cui le diagnosi sono incerte o in cui a diagnosi precise non può seguire una terapia efficace. Rimanere ignoranti e affidarsi a una natura che si immagina più saggia sembra più rassicurante. Per quanto comprensibile, però, questo ricorso alla natura è poco convincente. Se proviamo a ragionare sull’opposizione natura/scelta, in realtà, vedremo che l’idea stessa di moralità è connessa alla libera scelta e all’autodeterminazione. In termini generali, quindi, dovremmo pensare che tutte le nuove opportunità di scelta che si aprono – anche grazie alla medicina predittiva – rappresentano comunque un progresso morale. Il vero problema morale, quindi, non è come limitare la scelta umana, ma come fare per promuoverla e garantire alle persone opportunità per scegliere in modo autonomo e responsabile. Questo significa, ad un livello più particolare, che le questioni più particolari sollevate dalla medicina predittiva – come il diritto di essere/non essere informati – dovrebbero essere affrontate con la consapevolezza che si tratta, comunque, di opportunità per gli esseri umani di essere più liberi e più responsabili.

Il cittadino ha il diritto a essere informato di una malattia prima che si manifesti? Come si può conciliare questo diritto con quello a “non essere informati”?

Ogni individuo ha diritto a controllare tutte le informazioni su se stesso e il proprio corpo e a decidere sulla scorta di queste informazioni. Questo diritto è, ovviamente, anche il diritto di “non sapere”. Dobbiamo chiederci, però, su cosa fondiamo questo diritto di non sapere e perché lo difendiamo. Un conto è difenderlo perché si tratta di uno dei modi in cui la libertà e l’autodeterminazione individuale si possono manifestare, un altro è difenderlo sulla base di un’implicita convinzione che le pretese di sapere e controllare sono spesso insensate e, in qualche modo, “immorali”. In questo secondo caso, il “diritto di non sapere” rischia di trasformarsi in un “dovere di non sapere”, altrettanto condannabile quanto il “dovere di sapere” a tutti i costi. Le persone, quindi, hanno diritto di non sapere, ma per esercitarlo devono avere concretamente la possibilità di scegliere fra sapere e non sapere. Le due possibilità devono essere egualmente accessibili.

Che cosa è “giusto” comunicare al “paziente” di tale predizione? E chi decide cosa e come deve essere comunicato e chi lo dovrà fare?

La domanda dovrebbe essere, piuttosto, “come” è giusto comunicare al paziente. Il paziente che decide di sapere dovrebbe essere informato di tutto ciò che lo riguarda e che può avere conseguenze per il suo futuro, il suo stile di vita e le sue relazioni. Naturalmente, l’informazione va data in modi che siano comprensibili e sostenibili per il paziente. Devono essere comprensibili e, quindi, devono essere adeguati alle capacità intellettuali e culturali del paziente e devono essere sostenibili, perché devono essere comunicate in modo da rendere il paziente in grado di decidere nel modo più sereno e consapevole possibile. Non esiste, quindi, un solo modo di comunicare l’informazione, ma si tratta di valutare caso per caso. Questo compito non può ricadere solo sul medico. Un buon counselling dovrebbe, ovviamente, chiamare in causa psicologi e, forse, anche consulenti che siano in grado di discutere con il paziente del significato morale delle sue scelte e delle conseguenze di queste.

La medicina predittiva ragiona in termini probabilistici e non si presenta più come un sapere onnipotente. In quest’ottica come cambia il rapporto medico-paziente? E come cambia la percezione della malattia?

In realtà la medicina non è mai stata un sapere onnipotente e la medicina predittiva non fa che confermare questo fatto. La medicina predittiva, semmai, rappresenta un ulteriore motivo per abbandonare il modello paternalistico di relazione fra medico e paziente e affidarsi a un modello “paritario” basato sulla pratica del consenso informato. Il vero bene del paziente non è qualcosa che è accessibile solo al medico, ma è il frutto delle decisioni consapevoli del paziente alla luce di un rapporto di interscambio con il medico. Naturalmente, la medicina predittiva complica un po’ il quadro perché tende a estendere la condizione di malattia anche a persone che non sono attualmente malate, ma che potrebbero esserlo in futuro. Questo significa, quindi, che il medico ha nuove responsabilità. La medicina predittiva è uno straordinario strumento per la cura e la salute degli esseri umani, ma il rischio di un’eccessiva medicalizzazione della vita delle persone non dovrebbe mai essere sottovalutato.

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