In primo piano

Le cause delle cause

Ogni situazione è sempre e comunque migliorabile: si può sempre fare di più e meglio. E abbiamo buone evidenze che siamo in grado di migliorare. Parola di Michael Marmot (vedi l’intervista).  Per migliorare la salute e l’equità nella salute il punto cruciale è “mirare alle cause delle cause”. Come scrive nel suo libro, La salute disuguale, è proprio ignorando i determinanti sociali, le cause delle cause, che si spiega il nostro insuccesso nel ridurre le disuguaglianze di salute all’interno di un paese e, in alcuni casi, tra paesi diversi.

Un’altra azione centrale per migliorare la salute e il benessere delle persone è l’empowerment: la responsabilità degli individui e delle comunità che prendono il controllo sulle proprie vite e liberamente fanno le proprie scelte di salute. “Bisogna dare alle persone gli strumenti per avere il controllo sulle proprie vite.”

Di seguito la traduzione dell’intervista video.

Cosa si può fare per ridurre le disuguaglianze?

Ho realizzato un rapporto, in Inghilterra, i cui risultati sono riportati nel libro “La salute disuguale”, seguendo l’intero corso della vita: lo sviluppo nella prima infanzia e l’importanza di investire in quella fase della vita, l’istruzione, l’occupazione e le condizioni di lavoro in modo che tutti abbiano almeno il reddito minimo necessario a garantire una vita sana, con uno sguardo anche alle comunità e all’ambiente, senza dimenticare il fumo, il bere, l’alimentazione, l’attività fisica,  tutti fattori che normalmente consideriamo nella categoria della medicina preventiva, ma con un approccio alla prevenzione che tenesse conto dei determinanti sociali. Ciò di cui parlo sono le cause delle cause. Fumo, alcol, dieta sono cause di malattia. Noi dobbiamo mirare alle cause delle cause. Perché è meno probabile che le persone che si trovano a un basso livello sulla scala sociale abbiano una sana alimentazione, mentre è invece più probabile che fumino, più probabile che siano in sovrappeso. Dobbiamo affrontare le cause delle cause. C’è davvero tanto che possiamo fare, basandoci sulle migliori evidenze.

Una volta che i governi hanno fatto la loro parte, cosa possono fare gli operatori sanitari e i cittadini?

I governi stabiliscono il contesto. Con la politica economica e fiscale possono ridurre la povertà. Tasse e trasferimenti possono ridurre la povertà. I governi possono investire in servizi sociali, nella sicurezza e nella protezione sociale, nelle scuole ecc. In questo modo il governo definisce il contesto. Ma c’è un esempio di quello che gli operatori sanitari possono fare. Nel periodo in cui ho ricoperto la carica di presidente della World Medical Association, mi sono dato il compito di far in modo che i medici e le associazioni mediche prendessero parte all’azione sui determinanti sociali della salute. Questo includeva, tra le altre cose, guardare al paziente in una prospettiva più ampia, lavorando con altri. Così, ad esempio, se ti stai occupando di bambini, non dirai: “Mhm, credo che questo bambino sia trascurato ma non c’è nulla che io possa fare perché sono un dottore”. Ma dirai: “Posso lavorare con i servizi sociali per l’infanzia? Se i genitori sono in difficoltà, ci sarà un modo per poterli aiutare? Esistono servizi adeguati per l’infanzia?”. Come medico quindi, riconosco il problema e posso lavorare con altri che sono abilitati a trattare con quel tipo di problema. Se visiti una persona anziana, non ti limiti a constatare che: “Bé, è ovvio, è una persona socialmente isolata, rischia la disidratazione quando fa troppo caldo e il congelamento quando fa troppo freddo”. Ma dirai: “Possiamo lavorare con chi si occupa degli alloggi, con chi è in contatto con i servizi sociali e l’assistenza per gli anziani?”. Ecco, lavorando in partnership c’è moltissimo che può essere fatto, proprio lì, sul campo.

Come promuovere l’empowerment?

Quando si parla di “empowerment” può sembrare come se si dicesse: “Fuori il governo dalla mia vita, lasciatemi prendere il controllo”. Ma questa è solo un’illusione, perché abbiamo bisogno di avere il controllo sulle condizioni. Se hai fame non puoi avere il controllo; se non hai un posto in cui abitare non puoi avere il controllo; se non hai avuto una buona istruzione non puoi avere il controllo. Abbiamo bisogno di creare le condizioni per la realizzazione dell’empowerment. Tutti i fattori che ho citato, lo sviluppo nella prima infanzia, l’istruzione, buone condizioni lavorative, un reddito sufficiente per vivere, un posto decente in cui abitare, sono necessari perché le persone assumano il controllo e la responsabilità della propria vita. Va bene agire a livello sociale ma poi bisogna dare alle persone gli strumenti per avere il controllo sulle proprie vite.

Commento

  1. Stefano Cagliano 5 Febbraio 2017 at 9:53 Rispondi

    E’ scritto meglio di quanto non sia stato pensato. Ed è stato pensato in modo seducente. Curiosamente chiaro.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *