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Le nuove frontiere della pediatria: ricerca e sviluppo sì, ma applicate al paziente

Intervista ad Alberto Tozzi, IRCCS Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, Presidente del comitato scientifico del congresso Shaping the future of pediatrics.

Perché innovazione in pediatria?

Probabilmente l’innovazione è ormai una scelta obbligata per rispondere alla crescente necessità di fare meglio con meno. La pediatria, come tutta la medicina, può fare grandi passi avanti ma dobbiamo essere disposti a usare l’innovazione come disciplina, non come un raro e improvviso colpo di genio. Cambiano inoltre gli strumenti a disposizione per l’evoluzione delle tecnologie che offrono soluzioni talvolta impreviste. E dobbiamo imparare a usarli.

Basta fare ricerca per migliorare le cure?  

Purtroppo questo non è sufficiente ed eccellenti progetti di ricerca rimangono relegati a ottime pubblicazioni scientifiche senza mai arrivare al letto del paziente. Abbiamo bisogno di far “proseguire” la ricerca con l’innovazione che compete, almeno in parte, al pediatra. La sfera delle cure pediatriche ha problemi che hanno bisogno di una soluzione. In tutte le dimensioni, dalla diagnosi alla terapia del paziente, abbiamo bisogno di aumentare l’accessibilità e l’appropriatezza delle cure, e di soluzioni a misura del piccolo paziente e della sua famiglia. Come fare per aumentare il successo di un intervento chirurgico? Come predire il decorso clinico di un paziente e adattare la terapia e la sua gestione al suo profilo? Come garantire più autonomia al paziente cronico e alla sua famiglia? Questi sono solo alcuni tra i possibili esempi che possono essere affrontati attraverso l’innovazione.

Non sarebbe meglio pensare a mantenere livelli elevati di qualità delle cure invece che dedicarsi all’innovazione? 

Le due cose non sono in contraddizione. Anzi, l’innovazione deve naturalmente tendere ad un miglioramento delle cure che è un passo oltre il semplice mantenimento di una performance costante. Spesso si fa differenza tra innovazione incrementale e dirompente ma la differenza è solo nei tempi con i quali si raggiungono risultati. Qualche tempo fa si è sviluppata una discussione sul ruolo degli innovatori contrapposto a quello dei “manutentori” (leggi l’articolo di Forward “Viva i manutentori”, ndr). Non è una contrapposizione ideologica ma un naturale equilibrio tra il supporto dell’esistente e l’esplorazione di nuove soluzioni con un approccio sistematico. Nell’ecosistema della salute entrambi i ruoli sono necessari e interagiscono fortemente. Quello che è ormai chiaro è che usare risorse solo per mantenere livelli costanti delle cure è quasi impossibile e possibilmente fallimentare. E non è detto che l’innovazione corrisponda sempre ad un investimento di risorse aggiuntivo, anzi, possibilmente l’innovazione dovrebbe risultare in un risparmio. Non è detto neanche che l’innovazione corrisponda per forza all’uso di nuove costose tecnologie, talvolta è possibile innovare con strumenti semplici e accessibili. 

Come sarà il pediatra tra 10 anni? 

Siamo ormai vicini al punto in cui potremo disporre di una quantità di informazioni sul paziente e la sua malattia molto superiore a quella di cui disponiamo oggi. L’accesso a test diagnostici “-omici” non avrà più barriere di costo, i pazienti potranno trasmettere continuamente dati sul loro stato di salute e potranno disporre di strumenti di comunicazione con il pediatra che renderanno talvolta superfluo lo spostamento del paziente dal proprio domicilio. Il pediatra potrà simulare e predire il decorso di alcune malattie per esercitare una delle naturali attitudini di questa specialità: la prevenzione.

Qual è il ruolo del rapporto umano nel lavoro del pediatra?

Il pediatra ha una sensibilità particolare alle relazioni umane per via del lavoro che svolge. Una delle rivoluzioni di cui si parla poco sarà non quella di scenari apocalittici nei quali la tecnologia sostituirà completamente il rapporto umano, ma una relazione in cui ci sarà più tempo proprio per le relazioni umane. Non si tratta solo di studiare, capire e interpretare al meglio i dettami della medicina di precisione, ma di dare una risposta alle esigenze dei pazienti che sono insoddisfatte. Tutto questo è possibile se il pediatra guiderà il processo di innovazione e sarà disposto a imparare nuove abilità e a lavorare in gruppi con profili professionali completamente diversi. Ma mantenendo ben salde le proprie radici nell’esperienza clinica e umana.

Che ruolo possono giocare i piccoli pazienti e le loro famiglie nell’innovazione?

Qualche tempo fa ho incontrato una coppia di genitori che ha perso una figlia a causa di un tumore. Uno dei grandi grattacapi durante la terapia era la gestione del catetere venoso centrale sottoposto a sollecitazioni meccaniche di tutti i tipi. Per risolvere questo problema, questi genitori hanno inventato una specie di manica di stoffa che ospita una tasca a protezione dell’inserzione del CVC. Questi genitori hanno deciso di dedicare la loro vita allo sviluppo e al perfezionamento di questo dispositivo che diversi ospedali americani hanno già in dotazione. Qualche anno fa, un bimbo ricoverato ci ha consegnato un disegno nel quale descriveva un sistema basato su nanorobot iniettabili per la terapia mirata dei tumori, tecnica effettivamente in studio. Un papà di un bimbo con diabete tipo 1 portatore di un glucometro portatile ha costruito un sistema con il quale intercettare le letture delle glicemie sul proprio smartphone oltre che mantenere la trasmissione con la struttura sanitaria di riferimento. Con questo sistema ha iniziato a gestire la terapia insieme al medico con un netto vantaggio in termini di compenso del diabete. Questi sono solo alcuni esempi. Noi abbiamo la grande opportunità di sviluppare finalmente un modello partecipativo di pediatria in cui la famiglia del paziente ha un ruolo attivo e guadagna progressivamente autonomia nella gestione delle malattie. Questa osservazione è di particolare valore nelle malattie croniche.

Esiste un ruolo per l’industria nell’innovazione?

Per motivi culturali esiste ancora una grande distanza tra clinica, ricerca e sviluppo industriale. Quando si parla di industria e innovazione c’è bisogno di concordare delle regole di interazione per conservare il valore etico dell’innovazione e evitare i conflitti di interesse. Detto questo è ovvio che le competenze industriali siano complementari a quelle della clinica e della ricerca per il trasferimento di una innovazione nell’uso comune. Il mancato collegamento tra ricerca e sviluppo industriale è una delle ragioni per cui le innovazioni rimangono confinate alla ricerca scientifica. Inoltre, vediamo ancora troppo spesso proposte considerate innovative che non sono state sviluppate insieme a chi l’innovazione la deve utilizzare. Anche in questo caso il ruolo dell’industria sarà nel futuro molto più vicino a quello dei clinici, dei ricercatori e dei pazienti per realizzare modelli di partecipazione attiva. Vediamo già qualche segnale nelle collaborazioni che si realizzano tra strutture cliniche e start up. In alcuni casi le start up sono addirittura incorporate nelle strutture ospedaliere e rispondono alle esigenze di esse.

Perché una conferenza come Shaping the future of pediatrics, su argomenti così diversi e poco “pediatrici”?

Argomenti come l’interpretazione delle “-omics”, l’uso dei dati (e dei Big Data), la partecipazione dei pazienti alle cure e all’innovazione, e la metodologia dell’innovazione saranno essenziali per fare meglio il pediatra. Di conferenze sulla pediatria clinica ce ne sono tante e bellissime. Mancano invece occasioni come questa per discutere di cose che dovremo governare a nostro vantaggio invece che subirle.

Qual è il valore aggiunto di una conferenza in cui siano presenti professionisti di più ambiti disciplinari?

La contaminazione con altre discipline apparentemente lontane dalla pediatria e con i professionisti che hanno background i più diversi è indispensabile. Questa è anche una regola dell’innovazione: è più probabile che essa nasca al confine tra discipline diverse, non dove tutti hanno lo stesso background e la stessa esperienza. Bisogna anche ragionare su approcci diversi da quelli che usiamo nella ricerca per lo sviluppo di nuove soluzioni e imparare ad utilizzare insieme alla evidence based medicine anche gli approcci di sviluppo basati sui prototipi e la loro rifinitura per cicli di sperimentazione. Il pediatra deve impadronirsi anche delle tecniche di sviluppo delle soluzioni basate sulle esigenze del paziente. Tutte cose davvero poco frequenti nella nostra formazione e per questo apparentemente poco “pediatriche”.

Che prospettive internazionali ci sono per l’innovazione in pediatria?

La prospettiva più interessante riguarda il superamento delle barriere fisiche. Possiamo ormai scambiare informazioni ricche e dettagliate senza spostarci. Questa è una leva fortissima per la condivisione dei dati. Io immagino un network globale di strutture pediatriche in grado di contribuire tutte insieme alla realizzazione di soluzioni innovative. Ma è anche un incentivo alla partecipazione attiva del paziente e della famiglia. Non passerà molto tempo prima che le famiglie cominceranno ad utilizzare risorse pediatriche indipendentemente dalla loro localizzazione, possibilmente anche all’estero. Esiste anche una grande prospettiva per la prevenzione, la formazione e l’informazione per la salute, non più “local” ma “global”. È in questa prospettiva che dobbiamo immaginare una pediatria moderna, una pediatria liquida.

 

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