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Lo specialista? Meno farmaci più diagnosi
Quanto e quando il medico “di famiglia” avverte la necessità di un “secondo parere”?
La richiesta di visite specialistiche è nella medicina generale “un fiume continuo”: se per lo specialista può essere facoltativa per noi è la prassi. Pertanto il secondo parere diventa parte integrante del lavoro di un medico di medicina generale (MMG). Ci sono situazioni ben definite in cui si rende necessario un secondo parere, ovvero quando deve essere gestito un problema delicato quale, ad esempio, la scelta di intervenire chirurgicamente o meno, oppure nel corso di diagnosi di problemi medici gravi e complessi. Poi ci sono tutte quelle situazioni più sfumate in cui entrambe le parti – il medico e il paziente – hanno bisogno di una “rassicurazione” o di una conferma. Nelle situazioni di implosione decisionale che si può instaurare tra medico e paziente, la consulenza con lo specialista può diventare una soluzione, creando quello “straniamento” necessario arrivare a una scelta. In questo caso, la richiesta del secondo parere è un’esigenza frutto di un compromesso tra le necessità di maggiore informazione da parte del medico di famiglia e quelle di rassicurazione che vengono dal paziente stesso. In qualche modo, in quanto medici di famiglia siamo condannati all’umiltà.
E al gioco di squadra?
Si, purchè la squadra non si allarghi troppo… In particolare, medici specialisti ospedalieri spesso indirizzano il paziente verso una serie di altri specialisti, dando il via ad una sorta di pellegrinaggio al fine di raccogliere più pareri all’interno dei vari reparti. Inizia in questo modo un’escalation delle visite specialistiche, un moltiplicarsi di pareri scambiati tra specialisti dai quali il medico di famiglia è quasi sempre escluso. Diverso è il caso del secondo parere richiesto al medico specialista ambulatoriale con il quale è possibile instaurare un gioco di squadra per fornire al paziente una visione completa della sua situazione. In questo modo, lo scambio si rivela utile anche per il medico di famiglia che riesce a completare meglio il suo lavoro.
Il consulto di più pareri si rende quasi necessario in situazioni che riguardano la chirurgia che presenta un percorso diagnostico molto complesso. Poi, prima di decidere se intervenire o meno, può essere utile più di un parere al fine di avere una buona valutazione clinica. La linea-guida per la chirurgia – materia ove le Evidenze spesso traballano – è sicuramente di richiedere il consulto ad uno specialista che abbia un atteggiamento conservativo.
Infine, in molti casi in cui si richiede il secondo parere, sebbene una telefonata sembrerebbe la cosa più semplice, purtroppo, e per fortuna, è necessario rispettare dei protocolli specifici nella richiesta di consulto.
Strutturare meglio la richiesta, quindi?
Sì, perché l’efficacia di queste dinamiche integrate dipende molto da come viene formulata la domanda dal medico di famiglia, in modo che la risposta dello specialista possa essere contestualizzata al meglio.
Da parte del MMG, sarebbe utile compilare un modulo scritto con delle domande precise che permettano di fissare il problema entro certi limiti ben precisi e poi utilizzarle come protocollo senza farsi sopraffare dalla fretta. Spesso, infatti, se si ha fretta si finisce con il ricevere dallo specialista solo una prescrizione, invece, di una risposta ad una nostra domanda. Ma le colpe stanno da entrambe le parti. Per quanto ci riguarda spesso nella fretta e nell’ansia ambulatoriale non ci atteniamo al protocollo che permetterebbe di circoscrivere il problema. D’altra parte lo specialista ha la tendenza a prescrivere invece di fornire una prestazione. Questo è un peccato anche per lo specialista che perde un’occasione di crescita, perdendosi in prescrizioni di farmaci con indicazioni anche troppo specifiche sui nomi commerciali. Noi non li riconosciamo in questo ruolo di prescrittori, a meno che non si tratti di una malattia rara, caso in cui un intervento mirato si rivela necessario.
Poi c’è da fare un discorso di educazione del paziente a rifiutare questo atteggiamento solo prescrittivo. Bisogna spiegargli che la richiesta di un secondo parere non è un‘abdicazione, né una delega totale su un problema. E se si riesce a chiarire tutto questo al paziente, è possibile che questi educhi a sua volta lo specialista…
Spingendo lo specialista a riflettere sul suo ruolo?
Il ruolo dello specialista dovrebbe essere quello di occuparsi di problemi particolari e di intraprendere un percorso diagnostico fatto di ipotesi ed esami particolari che il medico di famiglia conosce poco. È solo nel caso di malattie rare che dovrebbe intervenire con indicazioni specifiche sulla terapia. L’atteggiamento iperprescrittivo comporta un allontanamento dal ruolo consulenziale, tipico dello specialista. Bisogna ricordare la differenza che esiste tra prescrizione e prestazione. La prestazione è un passaggio indispensabile per arrivare alla fase di prescrizione e, soprattutto, è uno ruolo molto più complesso. Significa saper fare domande, saper interpretare situazioni di zona grigia, saper indirizzare senza ordinare.
Secondo Juan Rosai il medico potrebbe veder sminuita la propria competenza nel chiedere un secondo parere ad un collega. Un’impressione realistica?
In parte è così perché un medico di famiglia paternalista, per evitare complicazioni, può decidere di non rinviare il paziente ad un secondo parere. Fortunatamente si tratta di una categoria in via di estinzione. Oggi è sempre più difficile che si possano verificare situazioni di questo tipo, anche se talvolta permane un certo attaccamento alla salvaguardia dell’immagine.
Il paziente di oggi è sempre più informato e desidera ricevere informazioni sempre più dettagliate sulla sua situazione. Il medico di famiglia si ritrova spesso a valutare insieme a lui quando inviare e, soprattutto, come inviare, preparando il paziente. Questa fase di preparazione è necessaria sia per il paziente sia per lo specialista.
Poi ci sono le condizioni di sistema della sanità, che indicano l’integrazione tra i vari elementi come la risposta migliore all’esigenza di salute del paziente, creando una rete che comprenda lui stesso, la sua famiglia, le strutture presenti sul territorio, lo specialista e Internet. Questo, soprattutto, per quelle situazioni che richiedono un percorso diagnostico complesso per le quali la collaborazione con specialista è fondamentale.
Qualche esempio…
Ad esempio, ho seguito una mia paziente con medici specialisti ginecologi nel percorso che li ha portati ad ipotizzare una diagnosi di tumore ipofisario da prolattina. Consultandomi con un endocrinologo ed un laboratorista ho scoperto che spesso la diagnosi è basata su uno o due test di prolattina; tuttavia i valori di questa possono essere influenzati dalla presenza di fattori di stress. Se poi a questi valori si aggiunge quello della risonanza magnetica che rileva un piccolo ingrossamento, è allora facile associare le due cose e indicare come soluzione un percorso che prevede la somministrazione costante (a vita) di un ormone antiprolattina. Ho deciso di indirizzare la mia paziente verso il consulto con un endocrinologo che, dopo un ulteriore approfondimento diagnostico, ha tolto il farmaco. Il micro-adenoma ipofisario non avrebbe dato problemi e l’innalzamento dei valori di prolattina era legato a fattori esterni di stress, come la stessa puntura del prelievo.
In un’ottica di integrazione sempre più necessaria tra medicina ospedaliera e medicina del territorio, non potrebbe rivelarsi talvolta prezioso anche un “secondo parere” offerto dal medico di famiglia al medico specialista?
Quasi mai accade, putroppo. In genere un secondo parere da parte del medico di famiglia è vissuto come se fosse una sfida nei confronti dello specialista, un affronto alla sua autorità. Esistono per ora solo dei modi trasversali, che consistono nel guadagnarsi credibilità e contatti con qualche elemento di spicco e rilevanza accademica a capo di società di specialisti con il quale avere uno scambio proficuo per fare in modo che questo si ripercuota all’interno di quella comunità di specialisti. L’integrazione di cui mi domanda, purtroppo, è un’idea rivoluzionaria. È un utopia bellissima.
Le porto l’esempio del progetto di un gruppo di medici di famiglia di Valle dell’Agno che dopo aver creato un database con le cartelle cliniche di tutti i loro pazienti, per consultazione interna nel caso di assenza di uno di loro, hanno proposto lo strumento ai vari pronto soccorsi locali, cercando di spiegare ai colleghi e alle autorità sanitarie l’importanza che può avere uno strumento del genere nella pratica quotidiana, in particolare, durante la notte in situazioni particolari in cui non è reperibile il medico che ha in cura il paziente presente in pronto soccorso. La proposta di consultare questo database non è stata minimamente presa in considerazione, eppure avrebbe permesso di basare gli interventi d’urgenza del pronto soccorso, non solo sul sintomo emergente del momento, ma anche sulla intera storia clinica del paziente.
11 febbraio 2004