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Notti da raccontare

© nottidiguardia.it
Nottidiguardia.it: come nasce l’idea?
L’idea nasce da un percorso di “umanizzazione” del nostro reparto di terapia intensiva che va avanti ormai da anni, e che vede il fulcro dei nostri sforzi nel “paziente” e non nella “patologia”. Curare, prima ancora di guarire, vuol dire “prendersi cura”. E nottidiguardia vuole raccontare un po’ il percorso interiore che ognuno di noi compie per raggiungere questo importante e “nuovo” cambiamento della medicina.
Il primo passo è stato quello di guardare il nostro luogo di lavoro con occhio diverso. L’abbiamo innanzi tutto fotografato, e abbiamo scoperto come soprattutto la notte ci offrisse un punto di vista completamente diverso. Nuovo, e oserei dire poetico. La diffidenza dei colleghi si è trasformata prestissimo in curiosità, poi in partecipazione. Dalla fotografia al racconto scritto il passo è stato breve.
Storie e suggestioni dalle notti di guardia, viste da diversi punti di vista di diversi operatori sanitari… narcisismo o un modo efficace per tirare fuori alcune delle ansie della professione?
Su nottidiguardia scrivono medici, infermieri, OSS… Ognuno cerca di offrire il proprio punto di vista. Ognuno si riscopre protagonista di una parte della storia. Credo che all’inizio ci sia molto più pudore che narcisismo, ma poi si scopre che raccontare ed essere letti è bello ed appagante, allora la voglia di continuare a farlo vince la timidezza e la riservatezza.
Quanto a me trasformare una vicenda personale in un racconto più o meno elaborato, mi permette di dargli maggiore significato. Certe storie fanno male o fanno paura solo perché sembrano assurde e insensate. Costringerle in una narrazione scritta è un po’ come domarle rendendole innocue.

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Il paziente coglie la narrazione come parte essenziale del prendersi cura?
Non so, non è facile chiedere ai nostri pazienti di leggere nottidiguardia e dirci cosa ne pensano. Uno solo di loro, con il quale abbiamo ancora stretti contatti, ci ha manifestato grande interesse per i nostri racconti, e ci ha affidato alcune sue memorie che ho trasformato in due storie (“la signora del letto9” e “semplici gesti“).
Sicuramente fra gli obiettivi di nottidiguardia c’è anche quello di condividere il nostro lavoro con i pazienti e il loro famigliari non solo da un punto di vista tecnico, ma anche da quello emotivo. In questo caso la narrazione è lo strumento attraverso il quale offriamo una parte della nostra professionalità. Mi piace pensare che chi ha il proprio caro ricoverato in terapia intensiva, cercando fra le pagine della rete informazioni sulla malattia, possa trovare in nottidiguardia un aiuto umano, che molto spesso in ospedale viene dimenticato, o resta soffocato dalla frenesia delle attività quotidiane.

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Agli occhi dei pazienti, un blog del genere umanizza il medico?
È quello che ci auguriamo. Penso che la maggior parte dei conflitti (e forse anche delle cause legali) in ambito sanitario siano legate ad un cattiva comunicazione fra pazienti e curanti (non solo i medici, ma tutto il personale). L’incapacità a creare un buon rapporto, a dedicare tempo utile alla relazione (e non solo alla somministrazione di una cura) sono ottimi presupposti per creare diffidenza e ostilità nei nostri pazienti. Sapere che chi si sta occupando di loro cerca di andare oltre il semplice gesto tecnico, penso che possa fare almeno “buona impressione”.
Medici o pazienti: chi legge nottidiguardia.it?
Anche questa è una domanda difficile. Non lo so. Sicuramente molti operatori sanitari, ma anche amici e conoscenti, qualche ex paziente. Mi piace pensare che sia metà e metà: in fondo chi non è stato ammalato almeno una volta nella vita? Comunque quando è nato il blog (ad agosto dell’anno scorso) le visite erano appena 2 o 3 al giorno (e molte erano mie!); ad oggi superiamo abbondantemente le 50, con oltre 250 pagine lette al giorno. Non è molto ma è evidente che le nostre storie interessano. Sta anche crescendo il numero degli autori che inviano materiale al sito, e molti post devono attendere settimane per poter essere pubblicati. Non c’è nessuna selezione per ora ovviamente, e spero di non doverla fare mai. Ogni racconto si porta dentro un pezzo di umanità vera, vissuta (anche se rielaborato) e questa è l’unica caratteristica fondamentale che deve possedere, solo così diventa di per sé interessante e, perché no, molto spesso anche poetico.

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Una luce prevalentemente notturna, rischiarata da splendide fotografie
Ogni racconto è accompagnato da una foto. Alcuni amici e colleghi mi hanno offerto la loro collaborazione in questo modo. “Noi non sappiamo scrivere” mi hanno detto, “ma vogliamo partecipare”. Così è diventato automatico e direi adesso necessario trovare la foto che accompagni la storia, o la storia che accompagni la foto. A volte foto e testo sono dello stesso autore (alcuni di noi si lanciano in entrambe le tecniche espressive) ma ciò che capita comunque sempre è che l’emozione trasmessa diventi immediatamente maggiore, perché è la somma di due processi creativi profondamente sentiti.
Il suo nome di battaglia per chi fosse curioso di vedere chi c’è dietro questa intervista?