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Possiamo credere a Sicko?

La Sanità statunitense è davvero un fallimento? Possiamo fidarci di Michael Moore? Ne abbiamo parlato con Jacob S. Hacker, giovane docente di Political Science alla Yale University: quella di Moore “è propaganda”, ma “la denuncia di fondo è innegabile”. Vediamo perché…

Professor Hacker, nel suo intervento tra le Perspective del New England Journal of Medicine del 23 agosto scorso, lei ha sottolineato alcuni limiti del film di Michael Moore, Sicko. Quali sarebbero, a suo parere?

Il film è estremamente efficace nel provocare indignazione. Con pochi commenti, passa da un orrore all’altro. Col susseguirsi delle immagini, non possiamo fare altro che chiederci: perché il nostro Paese, così ricco e potente, lascia che così tanti cittadini soffrano sofferenze e lutti evitabili? Come può il Governo di una nazione “dei, con e per i cittadini” fallire così miseramente nel tutelare la gente da tragedie così diffuse e prevenibili? Purtroppo, non troviamo risposte nel film di Moore ed è questo il suo limite più grande.

Possiamo dire, dunque, che il suo parere sul film è negativo?

No, penso che tutti debbano vederlo. Ma allo stesso tempo tutti dovrebbero riconoscere che SIcko non è un resoconto accurato dei pro e dei contro del sistema assicurativo statunitense.
È propaganda, nel senso letterale del termine: informazione volta a diffondere un punto di vista. Ciononostante, la denuncia di fondo è innegabile: il nostro sistema costa troppo, garantisce troppe poche persone, inchioda medici e pazienti in pasticci burocratici e lascia che anche le persone assicurate alla merc del rischio di un tracollo finanziario dovuto alle spese sanitarie.

Da dove nascono tutti questi problemi?

Queste difficoltà datano da molto tempo e vanno peggiorando. Credo che siano in grande misura dovute alla nostra fiducia nel modello di copertura sanitaria basata sulle assicurazioni volontarie, private dei lavoratori dipendenti. Moore invoca un singolo assicuratore pubblico, qualcosa che ricorda il sistema canadese. È un punto di vista seducente, per molti versi. Ma è anche irrealistico.

Quindi, quale potrebbe essere il prossimo passo?

Richiedere che le aziende forniscano ai propri dipendenti una buona copertura privata, oppure che i cittadini siano iscritti, ad un costo contenuto, in un nuovo programma pubblico disegnato sulla falsariga di Medicare, il programma sanitario statunitense più utilizzato. A dire il vero, non è necessario andare in Canada, in Gran Bretagna o in Francia (tanto meno a Cuba, la destinazione più discutibile tra quelle scelte da Moore) per constatare di persona le virtù del rendere compatibili l’universalità dell’assistenza e il controllo della spesa pubblica. Medicare, il nostro più popolare e diffuso piano assicurativo, copre chiunque abbia più di 65 anni e le persone con disabilità.

Crede che sia davvero possibile una riforma?

Non sarà facile, ma certamente più semplice di provare a ripensare il sistema sanitario statunitense da cima a fondo. Come ho scritto nel mio libro “The Great Risk Shift“, pubblicato di recente dalla Oxford University Press, i politici e le politiche americane sono mal disposti nei confronti delle famiglie lavoratrici. Le aziende hanno pochi obblighi, laddove ne esistono molti e in misura crescente per le famiglie statunitensi.
È un quadro che deve cambiare e questo cambiamento deve iniziare dall’assistenza sanitaria, l’epicentro dell’insicurezza economica di milioni di americani che lavorano sodo. Per avere la possibilità di essere varate, le iniziative di riforma devono essere basate sugli aspetti migliori del sistema attuale. Ma la riforma ci sarà solo se gli americani chiederanno ai propri leader di fare qualcosa e se chi metterà mano alle riforme vedrà nella sfera pubblica un partner entusiasta e non un bellicoso oppositore del cambiamento.


12 Settembre 2007

Jacob S. Hacker è docente di Political Science alla Yale University. È autore di “The Divided Welfare State” e di “The Road to Nowhere“, e più di recente coautore di “Off Center: The Republican Revolution and the Erosion of American Democracy”. Collabora a The New Republic, The Nation, The New York Times, The Los Angeles Times, The Washington Post. Il suo ultimo libro, “The Great Risk Shift”, ha anticipato per molti aspetti gli scenari di crisi che stanno vivendo in questi mesi milioni di famiglie statunitensi.

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