In primo piano
Quando i geni cadono nella rete della legge…
Qual è la posizione della Commissione europea sulle implicazioni etiche, legali e sociali dell’utilizzo dei test genetici in medicina?
I test genetici rappresentano di certo una risorsa importante perché permettono di individuare in anticipo il rischio di sviluppare alcune malattie; tuttavia non sono esenti da errori né vengono sempre usati in modo appropriato, e pertanto necessitano di un’efficace regolamentazione e di un’attenta gestione. Questo è stato il leit motiv del recente incontro tenutosi a Bruxelles dove, su iniziativa del Commissario europeo alla ricerca, si sono riuniti esperti europei (impegnati in campo filosofico, medico e giuridico) di Ong e di industrie farmaceutiche per valutare una serie di raccomandazioni finalizzate a garantire il ricorso responsabile ed etico alle nuove risorse fornite dalla scienza genetica.
Quali raccomandazioni sono state prese in esame?
Il “pacchetto” di 25 raccomandazioni si concentra in particolare sulla qualità dei test genetici, sulla necessità di monitorare le malattie rare e quelle più pericolose, sulla protezione dei risultati degli esami. Nell’incontro europeo sono state sollevate anche delle preoccupazioni inerenti le conseguenze economiche e sociali dei test genetici e, in particolare, il loro impatto sul sistema sanitario. Inoltre, è stato messo a fuoco il problema della privacy e della comunicazione e diffusione dei dati relativi a test genetici, con lo scopo di garantire principalmente la confidenzialità delle informazioni ottenute e, soprattutto, impedire che vengano utilizzate impropriamente, ad esempio, in campo assicurativo o dai datori di lavoro.
E il diritto della riservatezza…
Le principali preoccupazioni del pubblico riguardo ai test genetici sono legate al timore che si faccia un uso inadeguato dei loro risultati e che terze persone possano accedere indebitamente a questi dati. La privacy dell’insieme dei dati medici di carattere personale, compresi quelli derivanti dai test genetici, è un diritto fondamentale che deve essere rispettato. Inoltre, il diretto interessato ha il diritto non solo di conoscere i risultati del test, ma anche di scegliere se esserne informato o meno. La tutela giuridica in questo ambito è estremamente importante e la vigente normativa comunitaria sulla tutela dei dati fornisce un quadro di riferimento adeguato in materia di protezione dei dati personali.
Nella tutela giuridica viene contemplata lo “stato di necessità”?
Sì. Uno dei princìpi individuati dagli esperti riguarda proprio l’obbligo di effettuare i test solo se questi sono affidabili e se esiste una valida motivazione medica – a tale scopo si dovrebbe creare un sistema di convalida dei risultati che garantisca test quanto più possibile precisi. Non dimentichiamo che i test genetici possono gettare un’ombra sulla vita di una persona, affliggere i suoi amici e familiari, e incidere su decisioni determinanti per il futuro. I medici, gli operatori sanitari e i pazienti potranno valutare quindi la necessità di un test soltanto dopo averne compreso appieno le conseguenze. Ma, attualmente, solo un numero limitato di persone è consapevole delle decisioni e conseguenze che i test genetici comportano.
Ci sono delle linee-guida per l’applicazione dei test genetici da parte dei professionisti sanitari?
Esistono le “Linee-guida per i test genetici” promulgate nel 1998 dal Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie, composto da professionisti dell’Istituto Superiore di Sanità, dell’Università e della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Queste hanno l’obiettivo di definire alcuni principi generali, molti dei quali largamente condivisi da altri paesi, per fornire uno strumento utile sia agli operatori sanitari e di laboratorio nella esecuzione e gestione dei test genetici, sia ai responsabili della Sanità pubblica nella programmazione e promozione di questo settore e nell’operare gli opportuni controlli. Secondo questi principi, deve essere garantito un uso appropriato di test genetici sicuri ed efficaci, una loro esecuzione in laboratori con elevati standard di qualità, come pure una gestione che assicuri una reale autonomia decisionale dell’utente, un’adeguata assistenza psicologica e sociale, ed una particolare attenzione ai problemi etici e di riservatezza.
Per quanto riguarda l’aspetto bioetico?
Sul tema si è pronunciato il Comitato Nazionale per la Bioetica con l’approvazione, il 19 novembre 1999, del documento “Orientamenti bioetici per i test genetici” che affronta questioni quali la tutela della privacy, il rischio di discriminazioni genetiche nel campo assicurativo e l’accesso ai test (a volte inflazionato, a volte difficile). Il documento definisce i test genetici e ne descrive le possibili applicazioni, sia nel campo della promozione della salute sia nei settori che non riguardano direttamente la salute dell’individuo o della collettività; inoltre, ne riporta lo stato dell’arte in Italia fino al 1999, con un censimento delle strutture che attuano test genetici e la legislazione attuale di riferimento. Entrambe le linee-guida – quelle sulla biosicurezza e quelle sulla bioetica – delineano una sintesi delle attuali conoscenze nel campo giuridico, scientifico ed etico, e rappresentano quindi solo una prima risposta a queste problematiche che deve essere aggiornata periodicamente a secondo dell’evolversi di queste conoscenze.
La legge italiana sulla privacy come si pone nei confronti dei test genetici?
La corrente normativa sulla tutela della privacy è entrata in vigore l’1 gennaio 2004. Il Testo Unico riunisce in un unico contesto la legge 675/1996 e gli altri decreti legislativi, regolamenti e codici deontologici che si sono succeduti in questi anni, e contiene anche importanti innovazioni che tengono conto della “giurisprudenza” del Garante. Il codice prevede una specifica disciplina per i dati sensibili, che comprendono anche i dati sanitari e genetici in quanto “idonei a rivelare lo stato di salute” dell’interessato. Le novità introdotte in ambito sanitario sono diverse, tra cui l’esonero dalla notificazione al Garante del trattamento di dati genetici, al contrario di come avveniva nel vecchio regime. Attualmente sono esonerati dalla notificazione sia i professionisti che trattano dati genetici individualmente, sia i medici che in forma associata condividono il trattamento con altri professionisti (come ad esempio all’interno di uno stesso studio medico). La notificazione, infatti, deve essere effettuata solo se il trattamento dei dati genetici è sistematico ed assume il carattere di costante e prevalente attività del medico. L’esonero non si estende invece ai trattamenti di dati genetici effettuati da strutture sanitarie pubbliche o private (ospedali, case di cura e di riposo aziende sanitarie laboratori di analisi cliniche, associazioni sportive). Il Garante precisa, infatti, che l’esonero viene disposto solo in “favore di persone fisiche esercenti le professioni sanitarie e non per i trattamenti in quanto tali”. Inoltre, per il trattamento dei dati genetici è previsto il rilascio di un’apposita autorizzazione da parte del Garante, sentito il Ministro della Salute.
E per il rispetto dei diritti del paziente?
Anche in questo il Testo Unico introduce delle novità: distanze di cortesia; modalità per appelli in sale di attesa; certezze e cautele nelle informazioni telefoniche e nelle informazioni sui ricoverati; estensione delle esigenze di riservatezza anche agli operatori sanitari non tenuti al segreto professionali. A partire dal 1 gennaio 2005, verranno introdotte le cosiddette ricette impersonali, la possibilità cioè di non rendere sempre e in ogni caso identificabili, in farmacia, gli intestatari di ricette attraverso un tagliando predisposto su carta copiativa che, oscurando il nome e l’indirizzo dell’assistito, consente comunque la visione di tali dati da parte del farmacista nei casi in cui sia necessario. Infine, per quanto riguarda le cartelle cliniche, sono previste particolari misure al fine di riconoscere i dati relativi al paziente da quelli eventualmente riguardanti altri interessati (comprese le informazioni relative ai nascituri), ma anche specifiche cautele per il rilascio delle cartelle cliniche a persone diverse dall’interessato.
Come si pronuncia la normativa sullo scambio dei dati tra medici nella richiesta di una consulenza? È necessaria l’autorizzazione al paziente?
Il problema del trattamento di dati genetici del paziente non si pone qualora i dati vengano trattati in forma anonima e quando il paziente non sia comunque facilmente individuabile in base ad altri dati. Bisogna inoltre ricordare che, in ogni caso, il medico rimane sempre vincolato al segreto professionale che gli impone di non divulgare i dati dei propri pazienti.
Ci sono delle novità riguardo il trattamento dei dati del paziente?
Secondo la nuova normativa sulla privacy, il medico ha l’obbligo di informare l’interessato del trattamento dei suoi dati sanitari. Questo vale sia per i medici generici e i pediatri (art. 78 del codice della privacy), sia per coloro che operano in organismi sanitari pubblici e privati (art. 79 del codice della privacy). Il nuovo codice ha però semplificato l’intera procedura prevedendo un’informativa unica: il medico può presentare una sola informativa che vale per il complessivo trattamento, quindi per tutte le attività di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione. Per i medici di organismi sanitari questa comprende la pluralità di prestazioni erogate anche in distinti reparti o unità, che appartengano allo stesso organismo o siano appartenenti a strutture ospedaliere o territoriali specificamente indicate. Di conseguenza, con questa procedura semplificata, l’interessato deve ritenersi informato (sempre che l’informativa sia chiara e per lui comprensibile) anche del trattamento dei suoi dati nel caso di un eventuale second opinion (nel nostro caso, per il consulto richiesto ad uno specialista di malattie genetiche). Sempre secondo il codice della privacy (art.90), il trattamento dei dati genetici di un paziente da chiunque effettuato deve essere comunque autorizzato dal Garante (sentito il Ministro della Salute che acquisisce a tal fine il parere del Consiglio superiore della Sanità). Tale autorizzazione inoltre individua anche ulteriori elementi essenziali che devono essere inclusi nell’informativa di cui si è detto.
Quali esattamente?
Il Garante della Privacy ha espresso particolare attenzione alla necessità di specificare le finalità perseguite e i risultati che conseguono ai test genetici; si pensi alle notizie inattese di cui si può venire a conoscenza per effetto del trattamento di questi dati…
È necessario richiedere un’autorizzazione al Garante ogni volta che si effettua un trattamento di dati genetici?
Attualmente no in quanto al fine di garantire una maggiore semplificazione il Garante ha emanato, nel 2002, un’autorizzazione generale che vale per tutti i trattamenti idonei a rivelare lo stato di salute (31 gennaio 2002, autorizzazione 2/2002). Questa autorizza anche il trattamento di dati genetici in presenza però del consenso dell’interessato (limitatamente alle operazioni indispensabili per tutelare l’incolumità fisica e la salute dell’interessato, di un terzo o della collettività). In mancanza del consenso (e per la tutela dell’incolumità fisica e la salute di un terzo o della collettività) è necessaria invece un’autorizzazione specifica da richiedere al Garante di volta in volta. In realtà, l’autorizzazione generale aveva validità sino al giugno 2003 ma è considerata ancora applicabile fino a giugno 2004, in attesa dell’emanazione di una disciplina specifica e più organica. Infine, come già affermato, il consenso del paziente risulta indispensabile (sempre che non ci sia una pronuncia del Garante che lo escluda). Anche in questo caso il nuovo codice prevede delle procedure semplificate della manifestazione con l’introduzione di un unico consenso che deve essere però documentato in modo da permettere, altresì ad ulteriori professionisti, consultati ad esempio per una second opinion, di esserne a conoscenza.
I dati appartengono al paziente o al laboratorio (pubblico o privato) che ha eseguito il test?
I dati appartengono sicuramente al paziente ed egli può fornire il proprio consenso per i trattamenti specificati nell’informativa; questo vuol dire che ovviamente il consenso è dato per un fine o per più fini specifici. Di conseguenza non possono essere perseguite altre finalità (di ricerca ad esempio, sempre che ciò non venga realizzato in forma anonima) per le quali non sia prestato uno specifico consenso da parte del paziente. Tutto ciò significa che i dati del paziente possono essere conservati da chi ha posto in essere il trattamento, solo per un periodo non superiore a quello necessario per adempiere agli obblighi o ai compiti necessari. Infatti, anche mediante controlli di carattere periodico, deve essere verificata costantemente la stretta pertinenza e la non eccedenza dei dati rispetto al rapporto, alla prestazione o all’incarico che sia ancora in corso, che deve essere instaurato o che addirittura è cessato. Questo vale anche per i dati che l’interessato fornisce di propria iniziativa. I dati che poi a seguito delle verifiche risultano eccedenti, o non pertinenti, o non necessari non possono essere utilizzati, salvo il caso in cui la legge imponga di conservare l’atto in cui sono contenuti.
Ci potete riportare un caso giuridico esemplificativo della legge sulla tutela della privacy applicata ai test genetici?
Si può ricordare la coppia di coniugi che aveva presentato una richiesta di autorizzazione per acquisire i dati sanitari contenuti nella cartella clinica del padre della richiedente, anche in assenza del consenso di quest’ultimo. I coniugi si erano sottoposti ad un’indagine procreativa nell’ambito della quale i dati genetici del padre erano indispensabili. In quella occasione, il Garante aveva autorizzato l’ospedale ad acquisire i dati suddetti nel presupposto che la tutela della salute psicofisica della donna, ovvero la sua scelta riproduttiva consapevole e informata, dovesse prevalere sul diritto alla assoluta riservatezza dell’interessato (provvedimento 22 maggio 1999). Il principio su cui si basa questa scelta è senza dubbio quello del bilanciamento degli interessi in gioco alla luce dei valori costituzionali. Infatti, la privacy assume sempre più un carattere di relatività, proprio per lo stretto rapporto che alcune informazioni vengono a realizzare tra sfere private diverse.
Come nel caso delle indagini genetiche sull’infertilità e sterilità?
Sì, perché le informazioni genetiche rilevanti ai fini della procreazione dovrebbero essere condivise dai due “genitori”. Quando si tratta di scelte riproduttive può essere essenziale raccogliere dati relativi ad altre persone, al partner, o ad altri parenti. Proprio perché si trasmettono dai genitori ai figli, i geni sono comuni a più soggetti e costituiscono un legame tra le generazioni. A volte non bastano i dati dell’interessato, ma ne occorrono anche altri e questo può comportare il trattamento di dati dell’intero nucleo familiare. Tutto questo, come si è detto, dà una “colorazione” diversa all’aspetto privacy.
Come comportarsi quando dati e campioni dei test genetici vengono scambiati tra paesi con una diversa giurisdizione?
In questa ipotesi rientriamo nel caso di flusso transfrontaliero di dati, che è disciplinato dalla nuova normativa sulla privacy. In linea generale il Testo Unico sulla privacy prevede che la stessa normativa sulla privacy non venga comunque applicata ai fini di restringere o vietare la libera circolazione dei dati tra gli stati membri dell’Unione europea, posto che le autorità nazionali possono sempre adottare provvedimenti per limitare quei trasferimenti di dati effettuati ai fini eludere le leggi in vigore. Dal punto di vista europeo, quindi, anche per quello che riguarda la circolazione di dati genetici, si seguono i principi generali della libera circolazione in ambito comunitario prevista dalla normativa dell’Unione europea.
Quando lo scambio è tra un paese dell’Unione europea e gli Stati Uniti?
Per quello che riguarda invece paesi terzi, come nel caso degli Stati Uniti, il trasferimento di dati sensibili o meglio dati genetici, anche se temporaneo e in qualunque modo venga realizzato (in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo), è consentito solo in specifiche e determinate ipotesi. Quando ciò avviene è necessario il consenso espresso dell’interessato e che abbia comunque forma scritta. Viene inoltre permesso quando il trasferimento è specificato mediante legge ed è necessario per la salvaguardia di un interesse pubblico rilevante. Il trasferimento verso un paese non appartenente all‘area dei paesi dell’Unione europea è vietato nel caso in cui l’ordinamento del paese di destinazione o del transito non assicura un livello di tutela delle persone adeguato.
19 maggio 2004
Articoli correlati
Curare secondo privacy, intervista a Carla Caputo
Per saperne di più…
European Commission, 25 Recommendations on the ethical, legal and social implications of genetic testing, 2004 [in fomato .pdf]
Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie, Linee-guida per i test genetici, 1998.
Comitato nazionale per la bioetica, Orientamenti bioetici per i test genetici, Sintesi e Raccomandazioni, 1999.