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Rifiuti e salute tra evidenze e rischi

Intervista a Fabrizio Bianchi, epidemiologo del CNR.

 

Continuiamo a parlare di discariche, evidenze e rischi. Partendo dalla premessa che le discariche non possono non esserci, Enrico Davoli del Mario Negri di Milano ha sottolineato che è importante una gestione ottimale degli impianti di smaltimento dei rifiuti urbani e dei controlli sulla qualità dell’ambiente in prossimità della discarica. Qual è il suo punto di vista sul binomio rifiuti e salute?

Penso che la premessa di una discussione su un tema così complesso e così carico di conseguenze sulla salute e su tanti altri aspetti debba essere fondata su due pilastri: innanzitutto di quali rifiuti stiamo parlando (urbani, speciali, pericolosi?) e poi il ciclo dei rifiuti, dalla produzione allo smaltimento. La semplice affermazione che “quando una discarica di rifiuti urbani viene gestita in modo ottimale le emissioni costituiscono un rischio minimo per la salute”, spesso non corrisponde alla realtà perché la gestione dell’impianto non è ottimale, perché i rifiuti conferiti non sono conformi, oppure può succedere che gli appartenenti alle comunità residenti all’intorno dell’impianto non siano correttamente inseriti in un percorso adeguato di comunicazione e non si fidino e sviluppino una percezione del rischio che produce uno stato di malessere. Di fronte a dati empirici di percezione di rischio elevata tanto da provocare sintomi si possono avere atteggiamenti diversi: dal bollare cittadini e comunità di esagerazione, magari evocando la sindrome di Nimby. In una nostra recente indagine, realizzata da Liliana Cori, in Campania basata su interviste in profondità a cittadini residenti in aree a rischio la percezione di rischi ambientali e per la salute è risultata a livelli altissimi (oltre l’80% pensa di sviluppare un tumore) ed è da questo dato che bisogna partire per sviluppare un adeguato percorso di comunicazione partecipata. Questo tema è trattato nel nostro libro Ambiente e salute: una relazione a rischio.

E per quanto riguarda il secondo pilastro, cioè il ciclo dei rifiuti?

La discarica può avere un senso solo se inserita in un ciclo virtuoso. In caso contrario il suo ruolo sarà modesto o irrilevante: le discariche si riempiono velocemente e poi occorrono 40-50 anni di gestione fino alla loro completa mineralizzazione. La discarica senza recupero di energia o con recupero di energia sono collocate ai gradini più bassi della gerarchia del ciclo dei rifiuti, stabilita dall’Unione Europea con la Direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e della Commissione (adottata il 19 novembre 2008), che raccomanda di privilegiare, previa raccolta differenziata, il recupero e il riciclaggio rispetto alla perdita di risorse ed energia.
Proviamo a pensare a come si sentono i cittadini nel fare un sacrificio assumendo rischi o comunque disagi in più rispetto ad altri, senza che questo sia sufficiente a portare effetti positivi al sistema: una situazione frustrante e, in termini di salute, in contrasto con la definizione stessa di salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che stressa lo stato di benessere e non la sola assenza di malattia. Questi temi se non affrontati per tempo e con metodi e risorse adeguate contribuiscono ad una conflittualità permanente, ad un allontanamento della comunità dalle scelte e dei decisori dalla comunità. Queste condizioni che poi rendono più difficile la gestione sul e del territorio e anche la presa di decisioni basate sulle evidenze.

Ma gli studi epidemiologici quale contributo possono veramente dare?

Enrico Davoli, autore di un recente studio sulla valutazione del rischio in un’area intorno ad una discarica di rifiuti non pericolosi, introduce il tema partendo dai punti deboli degli studi epidemiologici, richiamando le difficoltà di indagare una relazione causa-effetto tra discariche e salute della popolazione per la presenza di fattori confondenti, sottolineando in particolare il fatto che le discariche si trovano in zone con condizioni socio-economiche più svantaggiate.
In effetti, questi sono limiti che se tenuti debitamente in considerazione possono non trasformarsi in punti deboli. Infatti, la metodologia epidemiologica più avanzata consente di tenere di conto di fattori confondenti, tanto è vero che molti studi recenti hanno incluso nei modelli di studio e analisi fattori confondenti, in primo luogo la deprivazione socio-economica. È questo il caso per esempio dello studio condotto in Campania in aree caratterizzate da discariche e siti di abbandono di rifiuti pericolosi e non (227 quelli caratterizzati) in cui la mortalità dei residenti in comuni più compromessi per presenza di rifiuti è risultata più elevata (+9,2% per gli uomini, +12,4% per le donne) rispetto a comuni “più puliti”, correggendo per l’effetto della deprivazione, risultato anch’esso rilevante (1).
Inoltre è utile richiamare l’attenzione sul fatto che un’adeguata accumulazione di risultati di più studi di qualità producono un risultato complessivo più informativo della somma dei singoli.

Abbiamo a disposizione dei “risultati complessivi” su cui ragionare?

Negli ultimi anni sono state prodotte buone rassegne bibliografiche di studi epidemiologici che se lette con rigore ed equilibrio danno risposte che sebbene non conclusive, sono sufficienti per prendere decisioni. Recentemente è stata pubblicata una interessante rassegna bibliografica degli studi epidemiologici sugli effetti sulla salute associati alla gestione dei rifiuti solidi (2). Questo lavoro fornisce un grado di adeguatezza e limitazione nell’uso dei risultati disponibili indicando le direzioni di sviluppo, soprattutto nella definizione e valutazione dell’esposizione. L’esposizione è infatti la vera sfida per il salto qualitativo della ricerca epidemiologica e i grandi passi in avanti nella misura di marcatori di assorbimento di sostanze nei liquidi e tessuti umani permette di guardare con fiducia ad un veloce avanzamento di metodi e risultati.

Quello che il cittadino chiede è la sicurezza e anche la certezza di sapere se l’ambiente in cui vive è nocivo…

L’incertezza non è una categoria evitabile, è immanente nell’universo, e quando si chiede alla scienza di produrre dati esenti da incertezza è come se si chiedesse di andare contro la forza di gravità; specie le discipline osservazionali come l’epidemiologia ambientale, cioè basate sull’osservazione empirica di fenomeni, sono connaturate con l’incertezza, che non è estranea neanche in quelle sperimentali (errori casuali e sistematici affliggono anche le scienze sperimentali). Tuttavia l’incertezza è stimabile e gestibile: buoni risultati sono basati su stime corredate di limiti di incertezza (di credibilità nell’approccio bayesiano) e se dimensione e conduzione dello studio sono adeguate i risultati offriranno ampie possibilità di loro utilizzo a fini decisionali. Studi di risk assessment basati su valutazioni tossicologiche e modelli di analisi di rischio sono anch’essi utili alla costruzione di un corpo di conoscenze complessivo su rifiuti e salute, così come negli altri campi dell’interazione tra società e salute, ma non possono da soli essere rappresentativi degli studi sulla salute. L’utilizzo potrà essere tanto più utile quanto più saremo in grado di integrarli con gli strumenti delle altre discipline, da quelle ambientali a quelle mediche.

Nell’intervista con Enrico Davoli si è parlato del caso benzo(a)pirene. Che ne pensa dei decreti di legge che prorogano i limiti di inquinanti?

Quanto a limiti di inquinanti ambientali che vengano prorogati per legge, come è il caso del Decreto Legislativo n. 155 che ha spostato al 31 dicembre 2012 il divieto di superamento del livello di 1 nanogrammo a metro cubo per il benzo(a)pirene, o le deroghe per l’arsenico che si sono succedute per oltre un decennio, il problema principale è rappresentato dal fatto che si tratta di cencerogeni certi per l’uomo e che i limiti solitamente sono bassi al presente ma vengono poi abbassati successivamente, ciò significa che molte persone sono state o finiscono per essere esposte e questo potrà arrecare danni alla salute che tradizionalmente venivano studiati dopo molti anni di latenza. Anche in questo campo lo studio su marcatori di esposizione e di effetto biologico precoce potranno evitare di contare tardivamente eventi avversi ormai conclamati. Ma questo tipo di studi è solo all’inizio in Italia, mentre è consolidato in altri Paesi occidentali.

Per concludere…

Prevenzione primaria e identificazione precoce rimangono insomma la via maestra da seguire, ma con strumenti e metodi molto più avanzati rispetto al passato, anche recente.

 

22 dicembre 2010

Bibliografia

  1. Martuzzi M, Mitis F, Bianchi F, Minichilli F, Comba P, Fazzo L. Cancer mortality and congenital anomalies in a region of Italy with intense environmental pressure due to waste. Occup Environ Med 2009; 66: 725-32.
  2. Porta D, Milani S, Lazzarino AI, Perucci CA, Forastiere F.  Systematic review of epidemiological studies on health effects associated with management of solid waste. Environ Health 2009; 8: 60 (review).

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