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Sono un medico vignaiolo

Può raccontarci come nasce un medico vignaiolo?

Sono uno specialista in radiodiagnostica e scienza delle immagini; in particolare mi occupo di radiologia vascolare. La mia è stata sempre una famiglia di agricoltori “illuminati”, che avevano anche una professione aggiuntiva. Mio nonno era avvocato, il fratello era il farmacista del paese, mio padre era primario medico all’Ospedale di Cosenza. Il nostro paese di origine è Nocera Terinese e viviamo lì dal 1480. Nel 1965, mio padre che era assistente dell’Università di Napoli, lasciò Napoli per andare a dirigere il reparto di Medicina Interna di Cosenza (ospedale regionale). Da allora, ha avviato una fondamentale trasformazione, ovvero, ha avuto l’idea di specializzare l’azienda nella olivocoltura e nella vitivinicoltura, facendo un nuovo impianto di trasformazione.Prima facevate dell’altro?

Le aziende agricole, fino alla riforma agraria, facevano di tutto e di più, dal maiale al formaggio, passando per la vite e per l’ulivo. Quindi, si produceva di tutto, ma non c’era specializzazione.

La vostra è una azienda molto estesa?

È un’azienda di 270 ettari, di cui 100 a vitivinicoltura e 120 a ulivi. La particolarità dell’azienda è la presenza di tre grandi terrazze ad altezze diverse rispetto al livello del mare: a 200, a 500 e 750 metri. Quindi, in pochi chilometri si sale dal livello del mare a 750 metri. Questa caratteristica è stata la nostra fortuna, perché si possono utilizzare i diversi vitigni su diverse altezze; è possibile ottenere vini di maggiore struttura nelle zone più basse e più profumati nelle più alte.

Quando ha iniziato ad essere un professionista del vino oltre che dell’arte medica?

Nel 1993-94, quando ero già specialista, andai a Londra: lì il vino non piaceva, eppure già vendeva molto bene in Calabria. Allora, tornai in Calabria e cominciai a ristrutturare tutto, perché volevo dare un’impronta internazionale all’azienda. Ho inventato l’acqua calda! Nel senso che negli anni, a partire dal 1970, era aumentata la distanza tra un filare e l’altro e il numero di piante per ettaro si era ridotto (il fenomeno interessava, in realtà tutta l’Italia, perché con la meccanizzazione standardizzata i trattori dovevano andare sia nei frutteti sia nei vigneti). La produzione per ogni ceppo era elevata, ma la rotondità dei vini non era esemplare. Quindi, quando sono tornato in Calabria, ho iniziato a fare i filari più stretti, ho cambiato agronomi ed enologi, ho utilizzato macchine scavallanti, cioè trattori che vanno a cavallo dei vigneti e ho iniziato a produrre nell’ottica della qualità e non della quantità, portando la produzione a 1 kg a pianta.

Cosa si ottiene stringendo i filari?

Si aumenta il numero delle piante, ma ogni pianta produce meno. Di conseguenza, si ha una maturità fenolica anticipata di 15 giorni e non ci sono differenze tra le parti esposte al sole e la parte in ombra.

La resa della pianta diminuisce, ma la resa complessiva rimane stabile, perché aumenta il numero delle piante?

Sì, ma consideri che quest’anno, per esempio, abbiamo avuto una media di produzione di 750 grammi a pianta, con un tenore minimo di polifenoli di 4 mila e cinque: questo è un dato eccellente per quanto riguarda la vitivinicoltura mondiale.

A proposito di contenuto in polifenoli, è questo il valore del vino rosso in termini di benefici per la salute di cui si parla spesso?

Un gruppo di ricercatori francesi, all’inizio degli anni ’80, pubblicò un articolo scientifico intitolato “Il paradosso francese”, in cui si dimostrava che la popolazione francese, pur avendo una dieta ricca in grassi saturi e mono-insaturi, aveva un tasso inferiore di trigliceridi e colesterolo rispetto agli altri popoli europei, perché abituati a bere circa 180 ml di vini rossi a pasto. Questa pubblicazione ha tracciato il solco della ricerca sui polifenoli in enologia; il vino non è più visto soltanto come alimento edonistico, ma salutistico. Se pensiamo che alcuni vini hanno fino a 7 mila milligrammi di polifenoli, capiamo bene come possano essere degli eccellenti antiossidanti e come servano a combattere tutta la problematica dei radicali liberi. Il vino deve essere visto non solo in termini edonistici e consumistici, ma come alimento “buono”, n più n meno dell’olio d’oliva.

Il suo essere medico ha influito sul suo lavoro di vignaiolo?

Sì, tanto. Io sono stato per anni un ricercatore del Centro Nazionale delle Ricerche (CNR), per cui ho acquisito una forma mentis indirizzata alla ricerca scientifica. Con l’Università della Calabria, che ha eccellenti laboratori e ricercatori, abbiamo iniziato a condurre studi sempre più approfonditi sui vitigni autoctoni e non. Siamo arrivati a creare dei modelli di fermentazione per proteggere ed estrarre quanti più polifenoli possibile: in realtà, si tratta di un lavoro lungo, durato cinque anni e che impegnerà, per i prossimi tre quattro anni, il settore scientifico dell’azienda.

Alcuni vitigni sono più indicati per valorizzare al massimo queste sostanze?

Il Greco Nero e il Gaglioppo: si tratta di uve dalla buccia molto sottile. Occorre anche considerare che da un vino di 11,5 gradi è difficile estrarre polifenoli e per avere antiossidanti è necessaria l’aggiunta o di tannini di vinacciolo o un passaggio intensivo nel legno, nella barrique. Invece, noi volevamo vedere che cosa facevano i vitigni senza l’aggiunta della barrique.

Perch il legno garantisce un apporto ulteriore di antiossidanti?

Per l’azione dei tannini ellagici, gli antiossidanti contenuti nel legno di quercia e la barrique è in legno di quercia.

I suoi vini sono invecchiati in legno?

Alcuni sì, altri no. Dipende dal target che ci proponiamo di raggiungere e da quanti polifenoli di base hanno. Va detto, tuttavia, che la barrique crea contemporaneamente una micro-riduzione dovuta ai tannini ellagici ed una micro-ossidazione dovuta al fatto che viene portata a fuoco, a 280 °C: nello strato immediatamente a ridosso della zona di ustione del legno c’è un accumulo di ossigeno, che viene ceduto gradualmente al contenuto. Grazie all’uso di micro-ossigenatori con vasche di acciaio a controllo numerico, che ci consentono di dosare l’ossigeno per tutto il tempo di maturazione del vino, abbiamo creato dei vini che non utilizzano il legno, perché hanno già in s le sostanze aromatiche [*].

La presenza di queste sostanze, i polifenoli antiossidanti, è un valore aggiunto anche per quel che riguarda il gusto del vino…

Certo, perché i vini diventano rotondi. C’è stata una grande polemica scientifica sulla memoria dell’acqua. Io posso dire soltanto che la memoria del vino esiste: è la sintesi di quel che si è fatto in vigna e risente delle condizioni meteorologiche di quell’annata. Se si fanno operazioni colturali sbagliate nella vigna, avremo un dualismo tra il dramma e l’opulenza. Un vino drammatico, che ha delle tensioni interiori, darà a chi lo beve delle sensazioni di fastidio, anche se non sono rilevabili in maniera cosciente, epicritica. Quando, invece, si raggiunge la quadratura del cerchio, il vino guadagna la sua opulenza e chi lo beve ottiene anche una sensazione di benessere interiore.

Che consiglio darebbe ad un paziente sul tipo di vino da bere?

Se il vino potesse scegliere da s il colore, vorrebbe essere nero. Comunque, il vino rosso, dal colore intenso, a seconda della quantità di resveratrolo, ha degli effetti positivi sulla pulizia delle arterie, sulla riduzione del deposito di acidi grassi nello strato intermedio della parete arteriosa. Bilanciando, oltre il contenuto calorico, anche l’apporto di 150 ml di vino rosso, si ottiene un effetto protettivo sulle arterie. La cosa importante non è bere 1,5 litri di vino, ma 150 ml, che poi sono poco meno di un bicchiere, di vino rosso. Come in tutti i trattati di farmacologia, il veleno dipende dalle dosi.

Come il vino, anche il malato porta con s, davanti al proprio medico, tutta la propria storia. Comprendere il vino è un po’ come per il medico fare la diagnosi?

Sì, è proprio così. Produrre un pinot noir e ritrovarlo in un bicchiere è una delle cose più belle che possano esistere.

Quali sono i vini che le piace di più assaggiare?

In primo luogo, adoro gli Amaroni, perché hanno una storia controversa ed una ricchezza olfattiva – gustativa di livello superiore. Poi, tutti i grandi vini costruiti con l’intenzione di creare qualcosa di eccellente. Per esempio, i grandi vins de garage, che rappresentano il meglio che il viticoltore è riuscito a fare per quell’anno: è il suo messaggio al mondo ed è come se pubblicasse il testo della poesia della sua terra; è qualcosa che percepisci quando stappi una di quelle bottiglie.

Cosa sono i vins de garage?

Sono vini prodotti inizialmente nel bordolese, con una tiratura massima di tre-quattro barrique: si tratta di prodotti di piccoli viticoltori, che riescono a fare grandi cose. Hanno una produzione familiare di quattro, cinque barrique in tutto all’anno, ma che raccontano il territorio, la storia e danno delle emozioni. Il vino, in realtà, è una sintesi di emozioni, n più n meno di una tela d’autore. Quando ci si innamora di un’opera d’arte, si decodifica la sintesi di un artista; la stessa cosa succede con il vino.

I suoi vini, i rossi in particolare, si sposano con la cultura gastronomica della sua terra?

Assolutamente, sì.

Con cosa consiglierebbe di berli?

Esiste una relazione tra il luogo, la gente, la terra e il vino. In Calabria ci sono trecento piccoli paesi e ognuno di essi rappresenta un tesoro culinario diverso dagli altri. La melanzana, per esempio, viene cucinata in centocinquanta modi differenti. Così, anche la patata e tutti quei cibi semplici che, in passato, avevano bisogno di grandi elaborazioni per avere un gusto accettabile.
Ad avere il tempo e la voglia di girare per i paesini calabresi, pur con le strade disastrate, si rimarrebbe affascinati dalla cultura gastronomica rimasta in alcune isole di eccellenza: sono paesi con esposizioni, culture e con un passato di dominazioni diverse. Esiste per esempio, nella provincia di Catanzaro, un piccolissimo centro, Martirano Lombardo, in cui si prepara la soppressata sotto cenere, cioè la soppressata viene conservata sotto la cenere: una delizia la cui tradizione viene tramandata oralmente in poche famiglie, non c’è una ricetta scritta. Un’altra tradizione è la frittata di patate senza uova: un sapore che non ho mai gustato fuori dalla Calabria…

22 aprile 2009

[*] La micro-ossidazione del vino, ossida una parte dell’alcol etilico, che si trasforma in etanale, e crea un ponte poco stabile: è il processo di polimerizzazione tra la parte colorante degli antiossidanti, gli antociani, e la parte degli antiossidanti costituita dai polifenoli. La polimerizzazione avviene grazie alla micro-ossigenazione e dona stabilità al colore e alla struttura del vino. La micro-ossigenazione deve essere condotta sulla base delle caratteristiche peculiari del vino e dell’annata. I vini delle Cantine Odoardi si avvalgono della consulenza scientifica della cattedra di Chimica teorica dell’Università della Calabria, diretta dal prof. Nino Russo.

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