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Attraverso lo schermo. Uno sguardo sull’autismo

Suo padre era un proiezionista, come Philip Noiret in Nuovo Cinema Paradiso. Comincia lì la sua passione per la settima arte?

Sì ho incominciato da bambino a vedere film accompagnando mio padre in una sala cinematografica parrocchiale dove faceva il proiezionista volontario. Di quell’epoca ricordo, oltre alla cabina di proiezione, l’odore intenso delle pellicole (triacetato di cellulosa), il proiettore Magnus delle Officine Prevost, proprio come nell’ambientazione del film di Tornatore, solo spezzoni di film visti dallo spioncino per vedere lo schermo e la platea. Erano i tempi di: Il settimo sigillo, I sette samurai, Un dollaro d’onore, Il posto delle fragole, I soliti ignoti. Seconda metà degli anni Cinquanta. Per intero li avrei visti anni dopo. In quelle occasioni ero invece attratto dal proiettore, dal suo funzionamento, dalla riparazione delle pellicole quando si spezzavano. Il primo film che ricordo di aver visto dall’inizio alla fine è Ben Hur di William Wyler, interpretato da Charlton Heston: era una domenica pomeriggio, in una sala cittadina centrale, insieme ai miei genitori. Il film era stato distribuito da poco, è un ricordo quindi del 1959/1960.

Perché ha ritenuto importante scrivere un libro su cinema e autismo?

Per ragioni diverse: personali e professionali, e tra queste ultime le caratteristiche che hanno in comune, come lo sguardo e la complessità. Il cinema, come tutte le arti “visive” è un’attività dello sguardo, linguaggio che comunica attraverso le immagini: lo sguardo che evoca altre facoltà, altre funzioni. Lo sguardo del/al cinema è memoria e capacità di organizzazione. Se da un lato il cinema è sguardo, dall’altro l’abilità del cinema è quella di catturare lo sguardo dello spettatore; è quindi uno scambio di sguardi, architravi di una relazione comunicativa. Un mondo forse più che confuso complesso in cui un film, come architettura di punti di vista, può creare più che ordine una sua ampia e comprensiva visione. La complessità è la caratteristica forse primaria e comune a tutti i disturbi neuropsichiatrici dell’età evolutiva, sia per come e quando si presentano sia, ancor più, per quando ce ne si prende cura. Così come lo sguardo, quello diretto, la cui marcata compromissione è tra i criteri diagnostici del disturbo autistico. Così come l’espressione mimica. Segni di compromissione qualitativa di interazione sociale (linguaggio, contatto, ecc.). Sguardo e complessità sono quindi due elementi comuni del cinema e dell’autismo, ma ce ne sono anche altri che rendono questa somiglianza non tanto fantastica quanto logica. L’associazione tra cinema e neuropsichiatria dell’età dello sviluppo e tra cinema e autismo va intesa come una riflessione affinché analogie casuali o forzate servano a migliorare la pratica, o almeno a dare un po’ di piacere e a lasciare un sorriso come dopo aver assistito alla proiezione di un bel film.

Come è nata l’idea?

Dalla casualità e dall’interesse, riflessione, piacere e divertimento di dare forma e sostanza a quel “perché” della domanda precedente. L’ambizione è stata quella di condurre una revisione sistematica formale secondo la corrente metodologia scientifica. L’esito è stato quello di una critical review.

Nel libro Attraverso lo schermo si parla di tutti i film che hanno a che fare con l’autismo divisi per categoria: genitori e famiglia, fratelli, scuola, sport, amore e matrimonio, e così via.

In realtà le categorie non sono state pensate rispetto ai film, ma piuttosto alle criticità della vita quotidiana di chi vive dentro o vicino alle condizioni dello spettro dell’autismo. Una volta definiti, o meglio scelti, gli aspetti più ricorrenti e critici nella gestione, accompagnamento, sostegno e non da ultimo care dei disturbi dello spettro dell’autismo, il compito è stato di vedere/leggere i film secondo questa griglia. Una scelta di campo di dove e da dove porre lo sguardo: dal/del paziente verso il mondo, l’altro, la società.

Che caratteristiche hanno i film che riescono a cogliere meglio la condizione di chi soffre di autismo?

Accogliendo l’indicazione del redattore che si è occupato del volume, Alessio Malta, il libro si conclude con “Da vedere”, in cui azzardo alcune indicazioni dei film più eloquenti pensando ad un pubblico italiano e all’appropriatezza clinica e della rappresentazione della realtà. Fino alla chiusura delle seconde bozze sono stato tentato di togliere questa parte. È complicato, comunque soggettivo e di responsabilità dare consigli di visione, come di lettura. Comunque, l’elenco è composto da: sette degli otto film di animazione recensiti, prevalentemente dei corti; otto documentari; due film per la televisione; dodici film. Ventinove produzioni, di cui tre italiane, su un totale di cento settantotto. Una selezione più vigorosa di quella dei grandi concorsi. Che siano le animazioni e i documentari a prevalere probabilmente è perché sono quelli che più ci dicono davvero chi siamo, ci fanno vedere il rapporto tra soggetto e mondo, anziché spiegarlo, e perché chi è coinvolto nella realizzazione vive o “sente di vivere” le sensazioni, i modi di esistere dello spettro dell’autismo. Sono forse i più diretti, “naturali”, spontanei, “realistici” delle realizzazioni cinematografiche sinora prodotte. Sarebbe però un caso di distorsione cognitiva aspettarsi più film neorealisti che commedie affinché ci siano svolte culturali verso i disturbi dello spettro dell’autismo.

Quali sono stati invece i film che hanno danneggiato di più la causa di chi vive la condizione autistica (direttamente o indirettamente)?

Sono quei film in cui il disturbo autistico è risultato marginale, da comparsa, irrilevante o addirittura pretestuoso. In questa categoria ne ho contemplati diciassette. Pretestuoso e inappropriato è inserire il personaggio di Daisy, autistica, orfana e forse fata maligna, nel film horror Daisy vuole solo giocare. Oppure l’horror “demoniaco” La mossa del diavolo dove ad una bambina autistica di 3 anni vengono attribuiti poteri sovrannaturali. Film banali e da evitare, di cui si sarebbe proprio fatto a meno nell’interesse di tutti, a partire da chi ci ha lavorato. Lo psycho-horror Rosso d’autunno è un altro di questi film e si potrebbe continuare nell’elencazione. L’estremo opposto è rappresentato dai film sdolcinati, commoventi, formato famiglia che banalizzano e raccontano in modo erroneo di autismo. Un esempio è Buon compleanno Mr. Grape nonostante un giovane Leonardo Di Caprio, oppure Il ragazzo che sapeva volare dove il trionfo dei buoni sentimenti contrasta spesso con i diritti di chi necessita di inclusione, comprensione, sostegno e condivisione come espressione di diritto e non di compassione, sopportazione o buona educazione. Essere buoni con chi soffre se è diverso e anche bambino è un impianto che frutta, in particolare se l’uscita nelle sale avviene nel periodo natalizio. Vale per tutti i tipi di disturbo e disagio e Wonder dello scorso Natale è un altro esempio.

A chi è destinato il suo libro?

Il destino è imponderabile, un insieme di cause che ne determinano (in questo caso) la distribuzione e la lettura… Mi piacerebbe ricevere commenti, anche critici, da pazienti e familiari per capire se “ci ho visto giusto”. Analogamente, ma per ragioni diverse, altresì da parte di colleghi e operatori sanitari, sociali ed educativi. Dal mondo del cinema ogni improperio sarà accolto per capire, anche da quel versante, i limiti e gli errori. Mi piacerebbe ricevere il parere di studenti che hanno in parte approfondito lo studio dei disturbi dello spettro dell’autismo guardando criticamente dei film, magari accompagnati dai propri tutor. Non posso aspettarmi che un decision maker o un policy maker attivi un tavolo decisionale per la care dei disturbi dello spettro dopo aver letto il libro, ma se Piovono polpette ci si può aspettare anche l’impossibile. Le caratteristiche dello spettro sono molte e hanno ancora bisogno di essere conosciute, comprese e adeguatamente rappresentate. Ma questo prescinde dal cinema e dall’autismo, dipende dallo “sguardo” che ciascuno rivolge all’altro nella vita quotidiana. Come dice la regista Kathryn Bigelow: scopo (anche, aggiungo io) del cinema è scuotere per portare a un cambiamento. Ecco, diciamo che è rivolto a chi è disposto a contribuire a un cambiamento in un’area caratterizzata da bisogni inevasi.

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