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8 marzo, torniamo a parlare di mascolinità tossica

Il costo della virilità  oltre ad essere il titolo del libro, è la definizione per indicare la spesa in euro che lo Stato e la società sostengono per affrontare i comportamenti asociali degli uomini. Si tratta della differenza matematica tra la spesa per i comportamenti asociali delle donne e degli uomini. Corrisponde al sovraccosto che lo Stato risparmierebbe se gli uomini si comportassero come le donne, come recita il sottotitolo del volume.

Le autrici – Ginevra Bersani Franceschetti, economista e femminista sin dall’adolescenza, e Lucile Peytavin, storica dell’economia e specializzata in storia del lavoro femminile -,  sono partite dalla constatazione che nelle nostre società moderne la questione del costo della virilità non viene mai messa al centro del dibattito pubblico nonostante sia sotto gli occhi di tutti che gli uomini sono responsabili della stragrande maggioranza dei comportamenti violenti, delinquenziali o anche semplicemente rischiosi per la propria e l’altrui salute. Questo è dovuto, da un lato alla falsa credenza secondo cui la natura maschile è di per sé turbolenta e violenta, dall’altro dalla identificazione della condotta maschile con la norma universale. La fusione di questi due elementi renderebbe la violenza maschile pressoché invisibile agli occhi della società.

Al termine di una esauriente e articolata analisi dei costi che la virilità, intesa come somma dei comportamenti che strizzano l’occhio alla violenza e alla sopraffazione, comporta in tutti i campi della vita sociale e in modo particolare in termini di salute pubblica, le autrici dichiarano che soltanto attraverso una educazione profondamente egualitaria si può pensare di affrontare e risolvere il problema.

La virilità, intesa come mascolinità tossica, costituisce infatti una trappola non solo per le donne, ma anche per gli uomini, costretti loro malgrado ad assumerne i tratti per essere accettati. La virilità, nell’accezione specificata poc’anzi, regna schiacciando contemporaneamente il femminile, tutte le mascolinità che non vi si riconoscono e perfino gli uomini che rispondono alle sue richieste perché ne riconoscono l’autorità. “La virilità è un nemico difficile da afferrare”, scrivono le autrici, “prende il più delle volte i contorni di un viso maschile, ma è in ciascuno di noi. Nel nostro modo di pensare, di comportarci, di vedere il mondo. Modella i nostri modelli educativi, i nostri rapporti sociali e modella la nostra società. In questo è un nemico difficile da rimuovere.”

In altri termini, la virilità, intesa come mascolinità virile, opprime indiscriminatamente tutti e per questo andrebbe da tutti contrastata e smantellata. Nella consapevolezza che “rifiutando di educare i nostri figli come le nostre figlie condanniamo lo Stato e la società a pagare il costo della virilità – 98,78 miliardi di euro all’anno – e ci condanniamo tutti ad essere vittime delle sofferenze fisiche e psicologiche causate dai comportamenti antisociali, che sono realizzati nella stragrande maggioranza dei casi da uomini.”

Una volta acquisita e diffusa questa consapevolezza, qual è il primo passo verso il cambiamento? Innanzitutto, suggeriscono le autrici, fornire ai più giovani un’educazione altruistica che favorisca l’empatia.  In generale, modificare nel profondo e in modo consistente il rapporto che ciascuno di noi ha con il mondo, interrogando e mettendo in discussione i modelli e i valori che quotidianamente vengono trasmessi agli adulti di domani.

Erica Sorelli

Ufficio Stampa Il Pensiero Scientifico Editore

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