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Attraverso lo schermo, per una concretissima utopia
La notte degli Oscar si è conclusa da poche ore e adesso sappiamo che ad aver vinto il premio più importante è stato “Green Book”, il film di Peter Farrelly con Viggo Mortensen e Mahershala Ali, protagonisti della storia che racconta l’amicizia tra un virtuoso del piano afroamericano e un italoamericano che supera i suoi iniziali pregiudizi. Mentre una radiosa Julia Roberts gli consegnava l’ambita statuetta, il regista ha dichiarato: “Questo è un film sull’amore che supera le differenze”. Un po’ come succede nel libro di Maurizio Bonati Attraverso lo schermo. Cinema e autismo in età evolutiva, appena pubblicato dal Pensiero Scientifico Editore. Mentre “Green Book” pone l’accento sul pregiudizio razziale, “Cinema e autismo” mette al centro del suo interesse lo stigma che colpisce chi si ammala di autismo. In entrambi i casi, notiamo come il potere comunicativo delle immagini filmiche sia in grado di raggiungere con immediatezza il cuore degli spettatori che, mentre credono di assistere semplicemente a uno spettacolo di intrattenimento, in realtà fanno propria una lezione sulla necessità di fare della tolleranza una guida di vita.
Lasciamo per il momento sullo sfondo la storia dell’amicizia che nasce tra il pianista e il suo autista, e concentriamoci sulla preziosa guida di Maurizio Bonati che esplora la filmografia dedicata al tema dell’autismo. Il libro è costituito dall’insieme di considerazioni, ragionamenti e sensazioni da parte di un comune spettatore cinematografico – l’autore stesso – alle prese con film che affrontano il mondo dei disturbi psichiatrici in età evolutiva, autismo in primis. Poiché l’autismo non è altro che una diversa modalità di percepire il mondo, per comunicare con chi è in questa condizione è necessario cambiare radicalmente attitudine e linguaggio, modificando il proprio sguardo con l’obiettivo di vedere “attraverso lo schermo”.
Bonati, che se da un lato è un comune spettatore cinematografico, dall’altro è il responsabile del Dipartimento di Salute Pubblica e del Laboratorio per la Salute Materno Infantile dell’ Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri – Irccs, invita il lettore ad acuire lo sguardo sul rapporto tra la settima arte e l’autismo, e l’invito non è rivolto soltanto a chi sperimenta quotidianamente la relazione con bambini e ragazzi autistici ma anche all’appassionato di cinema e allo spettatore occasionale. Perché, come scrive nell’introduzione: “Sono numerose le assonanze tra il cinema e la malattia mentale quale elemento della vita e variabile della salute dell’intera collettività. “Giocare” quindi con i riflessi sul grande schermo dei disturbi psichiatrici dell’età evolutiva può forse contribuire a indirizzare gli sguardi su bisogni ancora largamente inevasi.”
Del resto, sguardo e complessità sono proprio gli elementi comuni al cinema e all’autismo. La complessità è, insieme, la caratteristica primaria dei disturbi neuropsichiatrici dell’età evolutiva e il tratto distintivo della multiforme relazione comunicativa che lega lo spettatore all’immagine attraverso il gioco di specchi che si manifesta sullo schermo. E lo sguardo, che del cinema è una sorta di architrave, risulta – guarda caso – sempre marcatamente compromesso nei soggetti autistici. In questo contesto, scrive ancora Bonati, “l’associazione tra cinema e neuropsichiatria dell’età dello sviluppo e tra cinema e autismo va intesa come una riflessione che serva a migliorare la pratica.” Con la speranza che le analogie fra fiction e realtà contribuiscano a realizzare quella concretissima utopia in grado di rendere più comprensibile, e dunque accettabile, il disturbo psichiatrico.
Erica Sorelli