In primo piano
Bisogna ancora stare “dalla parte delle bambine”
Sull’ultimo numero della rivista Ricerca&Pratica Maurizio Bonati dedica il suo editoriale ad una stimolante riflessione sulla disuguaglianza di genere che prende spunto dalle notizie riportate sui quotidiani nei giorni in cui scrive e dalla lettura dell’ultimo libro di Elena Gianini Bellotti, pedagogista di scuola montessoriana che già nel 1973 in “Dalla parte delle bambine” si chiedeva: “Perché bambine e bambini non possono fare le stesse cose? Perché facciamo leggere, vedere, ascoltare cose diverse a bambine e bambini? Perché proponiamo loro modelli diversi in famiglia, a scuola, nella società?” Colpisce che, a distanza di cinquant’anni, le domande di Gianini Belotti siano ancora così attuali da richiamare in modo incontrovertibile le parole di Ginevra Bersani Franceschetti, che nel suo libro Il costo della virilità, appena pubblicato da Il Pensiero Scientifico Editore, scrive: “Rifiutando di educare i nostri figli come le nostre figlie, condanniamo lo Stato e la società a pagare il costo della virilità e ci condanniamo tutti ad essere vittime delle sofferenze fisiche e psicologiche causate dai comportamenti antisociali, che sono realizzati nella stragrande maggioranza dei casi da uomini.”
Bonati porta avanti la riflessione constatando come, nel tempo, i temi delle battaglie femministe non abbiano determinato una corrispondente evoluzione dei comportamenti. In altre parole, “la disuguaglianza di genere, in forma ed entità diverse nelle varie società, è comunque presente nell’economia, nell’educazione, nella politica e nella salute. I tassi di scolarizzazione sono diversi, il divario salariale tra donne e uomini è ancora ampio. Solo un terzo dei docenti universitari ordinari è donna e i rettori donne una rarità.”
Questo insieme di condizioni non possono che influenzare negativamente le donne nella loro carriera, contribuendo “a un avanzamento più lento, a valutazioni meno favorevoli, a una minore rappresentanza nelle posizioni dirigenziali, ma anche ad una iniqua risposta ai bisogni di salute, a cure che spesso non tengono conto delle diversità di genere.” Una delle conseguenze peggiori di tutto ciò consiste nel fatto che spesso la medicina discrimina le donne, con gravi ricadute sul loro benessere e la loro salute.
E se da un lato, la notizia delle studentesse di un liceo di Ravenna che hanno ottenuto il congedo mestruale (due giorni al mese di assenza giustificata), fa ben sperare riguardo alle capacità delle nuove generazioni di smarcarsi da conflitti superati, le notizie che arrivano da regimi teocratici come l’Iran e l’Afghanistan ci confermano che, ahimè, “l’autodeterminazione delle donne è tema improponibile anche per la sola riflessione culturale. Quello che da noi è un diritto (avere giorni di congedo mestruale, assorbenti, preservativi e pillole contraccettive gratuite, per rimanere a quanto detto sopra) in Iran e Afghanistan è ancora lontano dall’esserlo: in quei contesti i diritti negati alle donne sono ancora più essenziali proibendo alle ragazze lo sport, espellendole dai posti di lavoro pubblici o proibendo loro di lavorare per le organizzazioni internazionali non governative, non consentendo l’accesso alle scuole, reintroducendo punizioni corporali e lapidazioni.”
Ancora una volta, conclude Bonati, bisogna stare “dalla parte delle bambine”.
Erica Sorelli
Ufficio Stampa Il Pensiero Scientifico Editore