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Cesarei: oltre la cronaca, leggiamo le evidenze
Episodi come quello della 33enne calabrese morta in agosto nella clinica di Villa dei Gerani di Vibo Valentia per le conseguenze di un cesareo intempestivo; o come quello, per fortuna non fatale, del neonato di Messina finito in coma il 20 settembre per lo stesso motivo, possono generare confusione in un’opinione pubblica scioccata dai tanti casi di malasanità.
“Ma questo cesareo s’ha da fare o non s’ha da fare ?”, potrebbe chiedersi, facendo eco – oltre che ai bravi di Manzoni – al monito dell’esponente radicale e ginecologo Silvio Viale (Ospedale S.Anna di Torino), rivolto ai politici e agli organi d’informazione che ormai da anni animano il dibattito sul cesareo in Italia: “Non si può dire un giorno che i cesarei sono troppi e poi accanirsi il giorno dopo perché non si sarebbe fatto un cesareo in più”.
Dunque, cominciamo col fare chiarezza. I cesarei sono troppi, non ci piove: nientemeno che il 38% delle nascite in Italia (primato europeo!) con punte del 60% nel mezzogiorno, mentre dovrebbero rappresentare un’eccezione. Lo dice l’Organizzazione Mondiale della Sanità che ne fissa la soglia massima al 15% e lo dice il Ministero della Salute, per il quale i “tagli” non dovrebbero superare il 20% sul totale delle nascite. Il motivo è semplice. Il cesareo presenta più rischi del parto naturale, sia per la madre (rischi anestetici, infettivi, emorragici, di lesioni e di morte materna maggiore di 2,84 volte rispetto al parto vaginale) che per il nascituro (lesioni o rischi derivanti da quelli materni). Ed il fatto che sia richiesto molto più spesso di quanto necessario alla salvaguardia di madre e bambino (l’abbiamo già detto, ma lo ripetiamo volentieri) denuncia una patologia del sistema sanitario. Strutture male organizzate che non garantiscono l’accesso all’epidurale 24 ore al giorno; pazienti poco informate su rischi e benefici; e medici che, per cautele di natura legale e interessi economici (percentuali più elevati di cesarei si registrano nelle case di cura private rispetto agli ospedali pubblici), non incoraggiano le donne che desiderano partorire naturalmente.
Un malcostume, le cui conseguenze andrebbero valutate in termini di salute, con rischi inutili, maggior dolore post operatorio ed il ricorso al cesareo anche per i parti successivi (sebbene le recenti linee guida dell’ACOG stabiliscano la possibilità, se clinicamente indicata, di ricorrere al parto naturale anche in caso di precedenti cesarei); sia in termini economici, con i costi aggiuntivi derivanti da una degenza più lunga a spese della paziente o del servizio sanitario nazionale.
Modificare un simile scenario richiede tempo, e certo i singoli episodi di errata valutazione da parte del medico, come quelli accaduti in Calabria e in Sicilia, in cui il cesareo (almeno stando alle notizie di cronaca) sarebbe stato necessario, non aiutano ad abbassare le cifre dei tagli in Italia.
Tuttavia gli sforzi di alcune strutture ospedaliere e delle organizzazioni che si sono impegnate in tal senso, con campagne informative e con l’applicazione delle linee guida, cominciano a dare qualche risultato degno di nota. È il caso dell’Ospedale San Leonardo Castellamare di Stabia – Nuovo Gargano (Puglia), che ha ridotto il ricorso al taglio dal 60 al 19%, dimostrando che se si applicano le raccomandazioni il problema si può risolvere anche al Sud dove il tasso dei cesarei è più alto. E di associazioni come l’O.N.Da (Osservatorio Nazionale Salute Donna) che per sensibilizzare donne e medici ha prodotto in collaborazione con l’OMS, lo spot “Scegli il parto cesareo solo se necessario”, visibile sulle principali emittenti nazionali e sul canale O.N.Da di YouTube.
La speranza, ovviamente, è di ridurre le anacronistiche morti per parto fino a farle scomparire, ma anche di colmare il gap esistente fra due attitudini spiccatamente italiane: da una parte l’eccesso di cautela, dall’altra, l’atteggiamento lassista nei confronti di situazioni a rischio, come quelle raccontate dai giornali.
Fonte:
Scott, J R. Solving the Vaginal Birth After Cesarean Dilemma. Obstetrics & Gynecology 2010; 115: 1112-13.