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Confusioni non sistematiche e opportune revisioni

Apprendere dall’errore sta diventando una delle raccomandazioni più in voga non solo in sanità. Cerchiamo di farne tesoro anche noi al Pensiero, tanto più ora che abbiamo pubblicato una breve ma fuorviante notizia che riprende un articolo uscito su The Scientist.

L’errore è nell’aver riportato le critiche dell’autore alle rassegne narrative come se fossero invece riferite alle revisioni sistematiche. Per imparare dagli sbagli è necessario fermarsi a riflettere sul perché accadono e utilizzare l’errore come un’occasione per farsi domande e cercare risposte. Ho provato a farlo e il risultato è di seguito.

1.La differenza tra una revisione sistematica e una rassegna non è universalmente nota (anzi). Moltissimi medici, dirigenti, infermieri o farmacisti non la conoscono, così come tanti giornalisti. La lingua inglese non aiuta a distinguere con chiarezza, dal momento che sia le une sia le altre sono definite reviews, sebbene in un caso sia presente l’aggettivo systematic. In italiano si rischiano meno equivoci, perché quelle sistematiche sono revisioni, mentre le altre restano rassegne. Per essere più precisi, alcuni hanno preso la buona abitudine di aggiungere alla parola rassegna l’aggettivo narrativa.

2.Le revisioni sistematiche forniscono uno strumento per riassumere in modo efficiente le informazioni su cui basare le decisioni cliniche. Hanno l’obiettivo di fornire al lettore un quadro sintetico ma esauriente dello stato della ricerca su un intervento o su una strategia terapeutica, la valutazione dei metodi utilizzati negli studi primari e la misura dell’effetto di un trattamento in diversi contesti. Consentono di valutare la disponibilità di prove sufficienti sull’efficacia di un intervento o se è necessario condurre altri studi per la valutazione di un trattamento e quali aspetti devono essere considerati. Le revisioni sistematiche si differenziano dalle tradizionali rassegne della letteratura a carattere narrativo. Queste ultime prevedono una determinante influenza dell’autore nella selezione degli studi, nella valutazione critica degli studi stessi e nella sintesi dei risultati. Le revisioni sistematiche, viceversa, seguono dei protocolli standard i cui elementi fondamentali sono l’esaustività della ricerca degli studi, la valutazione della qualità degli studi da includere e la possibilità di sintetizzare quantitativamente i risultati attraverso la metanalisi. L’uso di metodi espliciti e sistematici limita i bias (errori sistematici) e riduce gli effetti casuali, fornendo così risultati più affidabili dai quali è possibile trarre conclusioni e prendere decisioni. (Anche questo, fortunatamente, lo abbiamo scritto noi del Pensiero; è nel glossario della Biblioteca Medica Virtuale www.bmv.bz.it). Tutto ciò premesso, il problema delle rassegne narrative è (ancora una volta) soprattutto nell’assenza di trasparenza: quasi mai gli autori spiegano il metodo seguito nel “farsi un’idea” e raramente dichiarano con sincerità gli interessi di cui sono personalmente o istituzionalmente portatori. Se così non fosse, anche le rassegne narrative (e soggettive) potrebbero tornare a svolgere un ruolo utile nell’aggiornamento del medico.

3.In Italia, ma non solo, esistono delle enclaves dove questioni del genere sono all’ordine del giorno; una è il Centro Cochrane Italiano (che infatti ci ha segnalato l’errore nonostante ieri molti di loro avessero comprensibilmente la testa a San Siro dove la Beneamata sfidava il Barça). Di più modeste dimensioni e prestigio, un’altra di queste enclaves è proprio al Pensiero; ciononostante, prendiamo cantonate anche qui. A parte questo (o proprio per questo) sarebbe bello se questi argomenti uscissero dalle nostre stanze per contaminarne anche altre (in senso buono ovviamente). E’ quello che prova a fare il Centro Cochrane con i suoi corsi, il Pensiero con i propri e fortunatamente diverse aziende sanitarie italiane.

4.L’autore dell’articolo pubblicato da The Scientist, Steven Wiley, critica soprattutto l’abitudine di citare le rassegne narrative invece degli studi originali. E’ dunque un commento accademico che riguarda soprattutto un aspetto del “medical writing” o, come dicono al BMJ, di “Journalology”. In filigrana vi si possono leggere molte cose: per esempio, la sempre maggiore distanza tra gli obiettivi dei ricercatori e quelli degli editori. Ai primi importa siano citati i propri lavori originali, che però sono sempre meno letti (difficili da interpretare e poco utili nella pratica clinica quotidiana). Ai secondi interessa che cresca l’impact factor delle riviste e quindi privilegiano la pubblicazione di rassegne, che ai medici piacciono di più (e anche alle case farmaceutiche).

5.Si dice spesso che uno dei vantaggi di internet è che gli errori si possono correggere più facilmente di quanto non sia possibile sulle pubblicazioni stampate. E’ vero solo in parte. La notizia uscita su Yahoo!Salute avrà avuto lettori che non leggeranno questo commento. Il modo di usare l’informazione scientifica, sempre più caratterizzato dalla lettura del singolo articolo svincolato da un contesto o dalla cornice (anche interpretativa) che garantiva la rivista|contenitore, rende le “retractions” sostanzialmente inutili. Questo riguarda sì Yahoo!Salute o il sito del Pensiero, ma è probabilmente assai più importante per organi di informazione assai più influenti, come le grandi riviste mediche internazionali.

luca de fiore

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