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Contro gli sprechi nella ricerca scientifica
Il Lancet inaugura il 2014 con una serie di articoli sugli sprechi nella ricerca scientifica, sulle iniziative per ridurli e per produrre studi più utili e corretti.
La serie “Research: increasing value, reducing waste” è la continuazione ideale dell’articolo del 2009 Avoidable waste in the production and reporting of research evidence: un articolo che ebbe una grande risonanza e che sostenva che l’85% degli investimenti nella ricerca va sprecato. Gli autori di quell’articolo, Iain Chalmers e Paul Glasziou, hanno collaborato anche a quest’ultima iniziativa, che approfondisce la tematica e formula raccomandazioni.
Nel primo articolo Iain Chalmers e collaboratori sostengono che la trasparenza della prioritarizzazione degli oggetti delle ricerche e una valutazione sistematica delle evidenze disponibili sono elementi chiave per decidere quali ricerche finanziare.
John Joannidis e collaboratori vedono una possibilità di ridurre gli sprechi migliorando i disegni, i metodi e le analisi degli studi e propongono una serie di potenziali soluzioni, tra cui: miglioramento dei protocolli e della documentazione, valutazione delle evidenze che emergono dagli studi in corso, coinvolgimento di figure professionali qualificate e senza conflitti di interesse.
Rustam Al-Shahi Salman e collaboratori rivolgono l’attenzione agli ostacoli che possono emergere a livello regolatorio: per evitare sprechi di tempo e di risorse, e non scoraggiare chi non ha forti istituzioni alle spalle, sarebbe necessaria una maggiore collaborazione degli enti regolatori e delle istituzioni sanitarie con ricercatori, pazienti e operatori sanitari per armonizzare leggi, regolamementi, linee guida, procedure che stabiliscono se e come fare ricerca. D’altra parte, anche chi fa ricerca dovrebbe migliorare il reclutamento, il monitoraggio e la condivisione dei dati.
An-Wen Chan e collaboratori evidenziano l’importanza dell’accesso alla ricerca “invisibile”, cioè a tutta la documentazione relativa agli studi clinici, sui partecipanti agli studi, sui protocolli di ricerca. I risultati degli studi di ricerca, si legge all’inizio dell’articolo, in una citazione da una intervista a Alessandro Liberati, “dovrebbero essere considerati un bene pubblico che appartiene alla comunità, in particolare ai pazienti”.
Chiude la serie il contributo di Paul Glasziou e colleghi sulla necessità che la ricerca biomedica sia riportata in modo non distorto e utilizzabile “la pubblicazione della ricerca può comunicare bene o male. Se la ricerca non viene riportata in modo adeguato, il tempo e le risorse investite nella conduzione della ricerca sono sprecati.”
Uno dei vincitori del Nobel per la medicina, Randy Scherkman, ha duramente criticato le riviste scientifiche più prestigiose, perché dovrebbero essere garanzia di qualità, mentre spesso non lo sono. La serie di articoli del Lancet invita a riflettere proprio su “come l’intera organizzazione scientifica dovrebbe cambiare per produrre evidenze affidabili e accessibili che rispondano alle sfide che devono affrontare la società e gli individui che le compongono”.
Fonti
Lane R. Paul Glasziou: surfing the wave of evidence-based medicine. Lancet 2014; 383: 209.
Kleinert S, Horton R. How should medical science change? Lancet, 2014, 383: 197-8.
Macleod MR, Michie S, Roberts I, et al. Biomedical research: increasing value, reducing waste. Lancet 2014. published online Jan 8. http://dx.doi.org/10.1016/S0140-6736(13)62329-6.
Research: Increasing value, reducing waste
Chan A-W, Song F, Vickers A, et al. Increasing value and reducing waste: addressing inaccessible research. Lancet 2014. published online Jan 8. http://dx.doi.org/10.1016/S0140-6736(13)62296-5.