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Cosa ci insegna il caso della tubercolina scomparsa?
Verso la fine del 2008 si apre in Italia uno scenario imprevisto e imprevedibile: l’unica ditta produttrice in Italia della tubercolina -il test di elezione per lo screening della tubercolosi – annuncia la sospensione della produzione: dopo qualche tempo le scorte iniziano a scarseggiare e le strutture sanitarie italiane cominciano a chiedere spiegazioni al Ministro del Lavoro della salute e delle politiche sociali. Viene poi autorizzata l’acquisizione all’estero, ma è interessante analizzare il significato della vicenda come fa la rivista di politica sanitaria Care.
Spiega Pietro Manzi, Direttore Medico del Presidio Ospedaliero di Rieti: “Tutta questa vicenda, a prescindere da quelli che saranno gli sviluppi futuri, evidenzia l’esistenza di almeno due livelli di criticità nelle modalità organizzative/operative del nostro sistema sanitario: una forse troppo debole ’politica sanitaria’ nazionale, specie nell’ambito della sorveglianza sanitaria; un pericoloso latente conflitto istituzionale tra Stato e Regioni nella gestione delle problematiche trasversali di livello internazionale. Criticità su cui vale la pena riflettere nella costante tensione verso standard assistenziali e di cura sempre più elevati e obiettivi di salute pubblica sempre più, giustamente, ambiziosi. È molto pericoloso, rispetto a obiettivi di uguale accesso alle cure e alle opportunità terapeutiche, prevedere una delega alle Regioni, e ancor più a strutture sanitarie locali, per le modalità di approvvigionamento di un farmaco non disponibile in Italia, in quanto non vi è evidenza che le Regioni o le singole strutture si comportino successivamente in modo uniforme, sia per quanto attiene la disponibilità del prodotto sia per quanto attiene il suo prezzo finale.”
“È evidente – continua Manzi – che ’l’AIFA non può affidare a terzi la produzione di una specialità medicinale i cui diritti sono di proprietà altrui’, ma bisognerebbe trovare delle strade percorribili per garantire alla popolazione la disponibilità di presidi terapeutici e diagnostici importanti (e di basso costo) atti a migliorare lo stato di salute generale.”
“È evidente che l’autorizzazione all’uso di un farmaco proveniente dall’estero richiede un consenso informato da parte del paziente, in quanto il presupposto è costituito dal fatto che il medico sta utilizzando un prodotto farmaceutico, che ha delle limitazioni d’uso sia per le sue indicazioni complessive che per la ridotta sperimentazione che quel farmaco ha avuto in Italia; ma se l’uso di tale prodotto è reso obbligatorio dalle circostanze (e non scelto dal medico), sarebbe forse più opportuno che lo Stato e non il singolo medico si facesse garante della sicurezza del prodotto somministrato.”
Fonte
Manzi P. Crisi della tubercolina in Italia: uno studio interessante per interventi sanitari più efficaci. Care 2009; 6: 36-9. (PDF: 292 Kb)