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Disuguaglianze e sostenibilità: cosa ci sta insegnando la pandemia?
Di Glenn Laverack il Pensiero Scientifico Editore ha pubblicato un volume che allo stato attuale delle cose risulta particolarmente indicato per cercare di comprendere i meccanismi che regolano la salute pubblica. Il volume si intitola, per l’appunto, Salute pubblica. Potere, empowerment e pratica professionale. La tesi su cui si fonda il libro di Laverack è che un’attenzione maggiore all’equità e all’inclusione dovrebbero rappresentare gli obiettivi guida per ogni forma di intervento che riguardi la salute. Per questo motivo, è necessario ampliare gli strumenti concettuali e pragmatici di chi opera nei servizi e nelle comunità locali e di chi li dirige. I paradigmi classici con l’enfasi sulla cura e sulla terapia, ormai insufficienti e non sostenibili dal punto di vista economico, vanno integrati con altri basati su un’analisi sistemica ed ecologica della salute individuale e sociale. In questo senso, l’empowerment è insieme strumento e obiettivo.
Nel mese di aprile 2020 sul sito del Centro Regionale di Documentazione per la Promozione della Salute della Regione Piemonte è stato pubblicato un commentary di Laverack, che dal 2016 collabora stabilmente come advisor con DoRS Regione Piemonte, sulla relazione tra promozione della salute e COVID-19. Il commentary contribuisce alla riflessione su un interrogativo di vasta portata che potremmo così riassumere: cosa ci sta insegnando la pandemia da COVID-19 sulle disuguaglianze e sulla sostenibilità dei nostri sistemi sanitari? Laverack parte dalla constatazione che durante la diffusione di una malattia infettiva, il primo nemico è il tempo. Motivo per cui, di fronte al propagarsi del coronavirus, la maggior parte dei governi si è impegnata ad attuare rapidamente blocchi totali e ad usare la comunicazione e la cosiddetta moral suasion per influenzare i comportamenti individuali rischiosi, uno su tutti il mantenimento della distanza di sicurezza.
La vera sorpresa del COVID-19, sottolinea Laverack nel suo commentary, ha riguardato l’estrema rapidità nella diffusione e la sua gravità, elementi che hanno contribuito a diffondere un forte senso di paura e di urgenza. Sotto questa spinta, sono state adottate misure draconiane per fermare l’epidemia, senza darsi il tempo di valutare se non sarebbe stato più opportuno adottare una risposta di salute pubblica più sfumata e appropriata. Tali misure, secondo Laverack, potrebbero alla lunga rivelarsi responsabili di costi umani ed economici di lunga durata, che toccheranno profondamente la società in base alle criticità socio-culturali, politiche, economiche, infrastrutturali e storiche. Alcuni contesti socio-culturali, ad esempio, sono in grado di tollerare blocchi di lungo periodo mentre altri si opporranno, specialmente se la vita diventa sempre più difficile. In altri termini, ciò che funziona in alcuni Paesi potrebbe non funzionare affatto in altri. Questo perché non c’è un unico modello per la comunicazione. Inoltre, aggiunge Laverack, per garantire la sicurezza dei cittadini durante la pandemia, i governi dei singoli Paesi avrebbero dovuto mettere al centro della comunicazione il coinvolgimento delle proprie comunità di riferimento motivandone il senso di appartenenza e di responsabilità, invece hanno scelto di puntare sull’adesione individuale e su stringenti misure di controllo della popolazione. In realtà, le comunità auto-gestite, aiutando gli altri a capire le conseguenze delle loro azioni, sono in grado di assicurare il rispetto delle misure previste da un blocco totale in modo molto più efficace di quanto non riesca lo spauracchio delle possibili sanzioni. E i blocchi totali hanno maggiori possibilità di successo se le persone sono motivate da uno spirito di altruismo, piuttosto che intimidite dal timore di venire sanzionate per le eventuali violazioni commesse.
Quello dell’altruismo è un tema fondamentale su cui la salute pubblica, di fronte a una pandemia come questa, deve assolutamente fare leva, sostiene Laverack. Durante una pandemia, infatti, la protezione delle persone più vulnerabili nella società deve essere affrontata con estrema cura. I rifugiati e i migranti, coloro che sono socialmente isolati, le persone senza fissa dimora, le persone anziane nelle residenze socio-assistenziali, le persone con problemi di salute mentale, le donne e i bambini a rischio di violenza domestica, ovvero le persone che sono vulnerabili e soggette a disuguaglianze, devono essere protette in modo particolare perché saranno loro ad essere colpite in modo più sfavorevole. Analogamente, i Paesi con maggiori disuguaglianze saranno colpiti in modo più determinante. Ed è quanto sta succedendo con la COVID-19.
I Governi dovrebbero, insomma, adottare un approccio sistematico ed equo per assicurare che tutte le persone vulnerabili siano aiutate durante l’emergenza pandemica. Così come dovrebbero sforzarsi di coinvolgere attivamente le comunità e comunicare proficuamente con loro allo scopo di mantenere vive tutte le attività di promozione della salute. Promuovere uno stile di vita salutare dovrebbe comprendere messaggi rinforzanti su pratiche da svolgere in casa, quali alimentazione e livelli di attività fisica salutari, riduzione dello stress e un moderato uso di alcol e fumo di sigarette. Parimenti, sarebbe importante che anche in tempo di COVID-19 i cittadini vengano informati riguardo alla continuità dei programmi di prevenzione: vaccinazioni, screening, servizi online e telefonici per affrontare lo stress e la violenza domestica.
Erica Sorelli
Ufficio Stampa Il Pensiero Scientifico Editore