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La gerarchia delle evidenze
Qualsiasi nuovo studio sperimentale dovrebbe essere disegnato e realizzato solo dopo aver verificato la disponibilità di evidenze di buona qualità su quell’argomento risultanti da revisioni sistematiche. La raccomandazione di molti autorevoli metodologi internazionali è solitamente disattesa e non poche persone ritengono che questa sia una delle principali ragioni dello spreco di risorse in ricerca inutile. In altre parole, si continuano a condurre studi su argomenti riguardo ai quali già disponiamo di conoscenze sufficienti.
Le revisioni sistematiche sono dunque uno strumento chiave della ricerca clinica ed epidemiologica: l’elemento che per primo determina la necessità di uno studio e che, una volta concluso, ne valuta i risultati alla luce delle altre prove disponibili. Pietra fondante, dunque, posta però in cima alla piramide delle evidenze costruita oltre 25 anni fa dall’Evidence-based Medicine Working Group e periodicamente soggetta a critiche e a ristrutturazioni. Qualsiasi pietra, in una posizione così particolare, sarebbe però in precario equilibrio.
Soprattutto se oggetto delle analisi di una persona battagliera come Trisha Greenhalgh, medico inglese oggi alla University of Oxford e da tempo tra gli osservatori più critici del mondo della EBM. In un articolo uscito sullo European Journal of Clinical Investigation, Greenhalgh mette in discussione la gerarchia delle prove, sostenendo che la superiorità delle revisioni sistematiche sugli altri documenti è ingiustificata e poco difendibile (1). Soprattutto, le revisioni sistematiche sono considerate assai più autorevoli delle rassegne narrative in un confronto che, però, non tiene conto che i loro obiettivi sono differenti, al punto che i due tipi di documento dovrebbero essere considerati complementari e non alternativi.
Occorre distinguere – sostengono Greenhalgh e le coautrici dell’articolo – tra i dubbi e le questioni aperte che richiedono dati (per i quali sono appropriate le revisioni sistematiche convenzionali accompagnate da una meta-analisi) da quelli che richiedono una chiarificazione e un’intuizione consapevole dei problemi oggetto di riflessione (per i quali, invece, è necessaria una sintesi più discorsiva). Per certi aspetti, le revisioni sistematiche sono strumenti più tecnici che possono dare indicazioni su argomenti circoscritti, mentre il contributo delle rassegne narrative è finalizzato a una comprensione più comprensiva di un tema complesso.
Distinzioni che, però, non possono prescindere dal considerare come i confini tra i due tipi di documenti si stanno facendo sempre meno netti. Infatti, negli ultimi anni sono state proposte le hermeneutic review (che non presuppongono ricerca e selezione sistematica delle evidenze disponibili ma una ricostruzione della cornice dei saperi utili per proporre un’interpretazione), le realist review (che mettono a fuoco i rapporti di causalità tra fenomeni o processi), le meta-narrative review (che propongono delle timeline di come alcuni argomenti si sono evoluti nel corso degli anni). È evidente come la comunità scientifica stia da tempo cercando di andare incontro a una domanda di conoscenza affinando i propri strumenti di comunicazione e, prima ancora, le metodologie di analisi.
Il percorso si è reso necessario anche per la progressiva perdita di credibilità delle revisioni sistematiche conseguente al loro utilizzo come strumenti di marketing: «Disponiamo di evidenze crescenti di come la scienza delle revisioni sistematiche sia progressivamente condizionata da conflitti di interesse commerciali e di altra natura», nonostante il percorso della loro produzione sia teoricamente determinato dai passaggi previsti nelle diverse checklist elaborate a livello internazionale. È un cavallo di battaglia di Greenhalgh, quello della corruzione della base di evidenze, argomento di un suo lavoro molto letto e citato (2). Che la qualità di molta letteratura “accreditata” lasci a desiderare è sotto gli occhi di tutti, ma in molti sostengono sia sempre meglio una revisione sistematica con qualche difetto di una rassegna tradizionale basata sull’eminenza del proprio autore. Niente affatto, risponde la Perspective sullo European Journal: perfino lo spiluccare qua e là le ciliegie sull’albero della letteratura scientifica, scegliendo quelle più utili a corroborare una propria tesi, può essere il metodo per difendere un’interpretazione, una particolare lettura utile a informare le decisioni cliniche come anche le scelte dei decision maker politici.
In definitiva, le rassegne narrative non sono le cugine povere delle revisioni sistematiche, ma solo una forma diversa di contributo accademico all’elaborazione delle conoscenze. Non si tratta di una discussione sulla lana caprina, perché potrebbe avere delle ripercussioni sulla formulazione dei bandi di finanziamento e sui criteri per la valutazione della ricerca.
Bibliografia
1. Greenhalgh T, Thorne S, Malterud K. Time to challenge the spurious hierarchy of systematic over narrative reviews? Eur J Clin Invest 2018; e12931.
2. Greenhalgh T, Howick J, Maskrey N. Evidence based medicine: a movement in crisis? BMJ 2014; 348: g3725.
Notizia pubblicata su Recenti Progressi in Medicina