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Fascicolo sanitario elettronico, questa volta l’Italia ce la farà?
Nel corposo ed esaustivo approfondimento di Carlo Canepa, pubblicato online sulla nuova testata Italian Tech di la Repubblica, si legge che, a circa dieci anni dalla sua nascita, il fascicolo sanitario elettronico rimane uno strumento largamente inutilizzato dalla maggior parte dei medici, dei cittadini e delle aziende sanitarie. Tranne qualche eccezione a livello di singole Regioni, il quadro nazionale è sconfortante. Per questo motivo, il governo ha preso l’impegno con l’Unione europea di destinare una quota delle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (il cosidetto Pnrr) all’effettiva partenza del fascicolo sanitario elettronico su tutto il territorio nazionale.
Ma cos’è esattamente il fascicolo sanitario elettronico? In teoria, come si legge sul sito www.fascicolosanitario.gov.it, è “lo strumento attraverso il quale il cittadino può tracciare e consultare tutta la storia della propria vita sanitaria, condividendola con i professionisti sanitari per garantire un servizio più efficace ed efficiente. Le informazioni presenti nel Fascicolo del cittadino vengono fornite e gestite dalle singole regioni”. In altri termini, si tratta di un portale dove il cittadino ha la possibilità di effettuare una serie di procedure sanitarie e accedere a una serie di servizi in questo settore. Si può, ad esempio, consultare la propria cartella clinica, leggere il risultato di un esame medico effettuato, scaricare le ricette prescritte dal proprio medico, prenotare una visita medica o un accertamento diagnostico, spostare un appuntamento, e così via. Ma, come si evince dalla lettura dell’articolo di Canepa, la realtà dei fatti è ancora lontana dalla definizione teorica.
Procediamo con ordine. Di fascicolo sanitario elettronico, scrive Canepa, si sente parlare in Italia ormai da oltre 10 anni: “Gazzetta Ufficiale alla mano, questo strumento è stato istituito (art. 12) con il decreto legge n. 179 del 18 ottobre 2012, poi convertito con la legge n. 221 del 17 dicembre 2012”. L’obiettivo del decreto legge era stato quello di “completare e rendere coerente il quadro normativo in materia, privo di una disciplina organica a livello nazionale, a fronte di numerose iniziative progettuali avviate in contesti regionali”. A questo riguardo anche Mauro Moruzzi, tra i maggiori esperti italiani di e-health, autore del volume La sanità dematerializzata e il fascicolo sanitario elettronico pubblicato da Il Pensiero Scientifico Editore, dichiarava entusiasticamente nella premessa al volume: “Negli ultimi due anni diverse aziende informatiche nazionali hanno avviato l’opera, assolutamente indispensabile per l’e-health italiana, di industrializzazione del fascicolo sanitario elettronico, mettendo a punto infrastrutture per l’integrazione di tutti i sistemi che alimentano il fascicolo e accedono ai suoi contenuti, soluzioni tecnologiche avanzate per l’interoperabilità delle reti informatiche locali delle Asl, registri di indicizzazione e repository per i documenti di salute, sistemi di autenticazione per l’accesso e di gestione anagrafica del paziente, l’utilizzo di standard internazionali. L’e-health del fascicolo sanitario elettronico nasce da questo sforzo industriale che deve essere supportato da un analogo impegno dei centri di ricerche, delle università, cioè della scienza e della formazione. L’Italia, una volta tanto, ha varato una legge sul fascicolo sanitario elettronico che colloca il Paese tra i più avanzati nella dematerializzazione della sanità europea. Può contare sulla presenza diffusa su tutto il territorio nazionale di medici di famiglia con un alto livello d’informatizzazione. Ha un gruppo di Regioni che si collocano ai primi posti dell’e-health europea. Ha una valida industria informatica e buoni centri di ricerca e formazione. In altre parole, questa volta ce la può fare.”
L’obiettivo che sei o sette anni fa sembrava alle porte, ad oggi è invece ancora lontano dall’essere raggiunto. Come spiega Canepa, “negli anni successivi ci sono stati altri interventi normativi, per cercare di risolvere le difficoltà nel raggiungere gli obiettivi prefissati”, ma in sostanza “a causa della frammentazione del sistema sanitario su base regionale, chi era partito prima con la creazione del proprio Fse ha raccolto i risultati migliori, mentre molte regioni sono rimaste indietro.” E nonostante l’emanazione del decreto Rilancio (il n. 34 del 19 maggio 2020, poi convertito con la legge n. 77 del 17 luglio), approvato nel pieno della pandemia di Covid-19, che rendeva più agevole e automatica l’attivazione del fascicolo sanitario elettronico, “un conto è quello che è stato scritto nelle leggi, un altro è quello che si è tradotto, e si sta traducendo, nel concreto.”
Attualmente, tutte le regioni sono dotate di un fascicolo sanitario elettronico, ma a seconda della Regione di residenza ogni cittadino italiano può accedere a una serie di servizi più o meno limitati. Le disparità di opportunità messe a disposizione dei singoli cittadini risultano ulteriormente incrementate dal fatto che in molte regioni sono proprio i medici a non usare il fascicolo.
Ricapitolando, scrive Canepa, “se da un lato il fronte dell’attuazione del fascicolo sanitario elettronico ha fatto grandi passi avanti negli anni recenti, dall’altro lato il fronte dell’utilizzo rimane ancora fermo al palo in parecchie Regioni. Perché?”
In generale, quello che non ha funzionato, dal lato cittadini, è che non è stata fatta una adeguata campagna di comunicazione dell’esistenza del fascicolo. La comunicazione dell’esistenza del fascicolo sanitario elettronico è stata perlopiù affidata ai medici di base, per i quali questo sistema è soltanto un altro strumento che si aggiunge alla loro cartella clinica, che già hanno nel proprio studio, e che quindi, se non correttamente integrato con le altre cartelle, rischia di essere una zavorra.
Del resto, è proprio sul fronte dei medici di base che sembrano esserci le maggiori resistenze, che evidentemente si traducono poi in uno scarso sostegno allo strumento: “Il fascicolo sanitario elettronico è un’occasione persa per una lunga serie di motivi: il problema non è l’idea del fascicolo in sé, ma i suoi limiti”, ha spiegato Renzo Le Pera, vicesegretario nazionale della Federazione italiana medici di famiglia (Fimmg). “Premesso che, come per tutta la sanità, ci sono differenze da regione a regione, gli incentivi per le parti in gioco sono diversi. Se per i cittadini il fascicolo è sostanzialmente un archivio in cui consultare buona parte dei loro dati sanitari, se per le amministrazioni sanitarie è uno strumento utile per controllare i flussi degli accertamenti, per i medici di base, nella maggioranza dei casi il fascicolo non serve a niente, così come per i medici di urgenza”.
Secondo Le Pera, una delle prime criticità riscontrate dai medici di base è l’organizzazione del fascicolo: “I contenuti sono organizzati per data e non per il tipo di problema del paziente, il che rende molto complicata la consultazione, soprattutto per i pazienti più anziani e cronici – ci ha spiegato il vicesegretario nazionale della Fimmg – Il medico di famiglia ha poi già i dati dei suoi pazienti. Se ha la fortuna di essere in una regione attrezzata dal punto di vista informatico, le ha nella sua cartella elettronica, organizzata in maniera molto più razionale”.
Se a tutto ciò aggiungiamo che il decreto Rilancio ha stabilito che anche le prestazioni erogate da strutture private possono essere inserite nel fascicolo sanitario elettronico, e che il cittadino, quando vuole, può eliminare i dati e i documenti a suo piacimento per rispettare il suo consenso e la privacy, diventa piuttosto evidente come l’utilità clinica del fascicolo sanitario elettronico si riduca a ben poca cosa: quella per i cittadini è di avere, sostanzialmente, un archivio digitale, quella per l’amministrazione è di avere uno specchio abbastanza fedele, ma non completo, dei flussi sanitari.
Che cosa promette, dunque, il Pnrr del governo Draghi?
Secondo il testo che ha ricevuto il via libera dell’Unione europea, due saranno gli interventi fondamentali: da un lato ci sarà “la piena integrazione di tutti i documenti sanitari e tipologie di dati”, con “la creazione e implementazione di un archivio centrale, l’interoperabilità e piattaforma di servizi, la progettazione di un’interfaccia utente standardizzata e la definizione dei servizi che il fascicolo sanitario elettronico dovrà fornire”; dall’altro, “l’integrazione dei documenti da parte delle regioni all’interno del fascicolo sanitario elettronico”, con il supporto finanziario.
Al momento le operazioni per rilanciare il fascicolo sanitario elettronico restano un cantiere aperto. A fine giugno si è riunito il Comitato interministeriale per la transizione digitale (Citd), istituito con il decreto legge n. 22 del 1° marzo 2021, ed è stata formalizzata la costituzione di un gruppo di lavoro che entro il 30 settembre 2021 dovrà presentare il piano operativo dell’iniziativa per il rilancio del fascicolo sanitario elettronico. “Disponibilità a far funzionare una volta per tutte questo strumento sembra esserci ancora anche tra i medici di base”, conclude Canepa, riportando la dichiarazione di Le Pera che si augura una concreta risoluzione di tutti i problemi che il fascicolo sanitario elettronico possiede.
L’affermazione di Moruzzi che abbiamo citato, risuona nuovamente come una sorta di augurio: questa volta l’Italia ce la può fare.
Erica Sorelli
Ufficio Stampa Il Pensiero Scientifico Editore