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Giornalismo e malattia mentale

I malati mentali sono ‒ se possibile ‒ più malati degli altri. Sia perché meno degli altri malati sanno identificare e comunicare (in primis a loro stessi) la loro condizione, sia perché la malattia mentale fa paura e suscita reazioni difensive e di rifiuto nelle persone sane. Questo fenomeno, definito stigma, nasce dai limiti che ogni società pone rispetto ai comportamenti ritenuti accettabili, ma ha radici culturali, antropologiche e forse evolutive profonde. E ha purtroppo pesanti ricadute sulla condizione di chi soffre di una patologia mentale.

Il grado di stigmatizzazione sembra essere direttamente correlato alla severità del disturbo mentale: la maggioranza degli studi effettuati fino a oggi tipicamente si sono focalizzati su pazienti schizofrenici o affetti da malattie mentali croniche, ma anche i pazienti schizofrenici e bipolari sono fortemente esposti allo stigma. È stato anzi dimostrato che i pazienti con disturbo schizofrenico o bipolare in fase acuta che manifestavano una forte quota di preoccupazione rispetto allo stigma presentavano, a distanza di tempo e nonostante la riduzione della severità dei sintomi, una maggiore compromissione del funzionamento sociale e delle interazioni sociali. L’impatto dello stigma non è quindi solo sociale o umano: è anche clinico.

In questo quadro assume un ruolo essenziale la comunicazione sulla malattia mentale: la descrizione che i mass media fanno di questo tipo di patologie e delle persone che ne soffrono ha un profondo impatto sull’immaginario collettivo, e può contribuire in modo decisivo all’aumento o alla diminuzione dello stigma. Ma se un giornalista soffre egli stesso di un disagio mentale, come si modulerà il suo approccio al tema e con quali conseguenze sul pubblico?

L’argomento è poco esplorato, e quindi i ricercatori britannici dell’Institute of Psychiatry del King’s College di Londra e quelli giapponesi dell’Ebara Hospital di Tokyo, coordinati da Yoji Aoki, hanno deciso di approfondirlo investigando in 5 aree-chiave:
(1) la diffusione delle malattie mentali tra i giornalisti;
(2) l’attitudine personale dei giornalisti verso le malattie mentali;
(3) il supporto che i giornalisti si sarebbero attesi dai colleghi in occasione del loro disturbo mentale;
(4) l’effetto della cultura professionale dei giornalisti sul decorso della loro malattia mentale;
(5) l’effetto della cultura professionale dei giornalisti sulla loro descrizione delle patologie mentali.

Per effettuare la loro revisione sistematica, pubblicata dall’International Journal of Social Psychiatry, i membri del team di Aoki hanno effettuato ricerche su MEDLINE, PsycINFO, EMBASE, Web of Science e Cochrane Library. Dall’analisi degli studi individuati (19 riguardanti il punto 1, 12 riguardanti il punto 2, 7 riguardanti il punto 3, 4 riguardanti il punto 4 e nessuno riguardante il punto 5) è emerso che la prevalenza del disturbo post-traumatico da stress (DPTS o PTSD) nella categoria dei giornalisti è significativamente più elevata rispetto alla popolazione normale.

I giornalisti hanno generalmente un’attitudine personale positiva verso le persone con disturbi mentali, ma percepiscono un fortissimo disincentivo da parte del loro ambiente professionale a “fare outing” riguardo a eventuali disagi psicologici e psichiatrici.

david frati

Fonte
Aoki Y, Malcolm E, Yamaguchi S, Thornicroft G, Henderson C. Mental illness among journalists: A systematic review. Int J Soc Psychiatry 2012; published online.

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