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Il tempo per pensare, quello che manca ai medici
“Quello di cui avevo bisogno era il tempo per pensare”, così scrive Danielle Ofri della New York University School of Medicine nell’articolo pubblicato sul New England of Medicine dedicato al problema della cronica carenza di tempo nell’attività di medico.
Stritolati tra l’incalzare dei pazienti da visitare – con tutto il carico di nozioni da rispolverare ogni volta che si deve fare una diagnosi -, la mole di moduli da compilare per effetto di una burocrazia macchinosa e perversa e le decine di elaborati degli studenti da correggere, i medici si trovano in una situazione di perenne fame di tempo. Questa sensazione, che di per sé è già molto spiacevole, diventa addirittura insopportabile tutte le volte che la visita di un paziente non fila liscia perché la complessità della patologia richiederebbe una maggior quantità di tempo a disposizione per poter elaborare con calma e lucidità risposte soddisfacenti.
In quei momenti, racconta Ofri di essersi ritrovata a struggersi di nostalgia ripensando ai lontani pomeriggi di studio trascorsi in biblioteca, quando le ore a disposizione per leggere e pensare erano pressoché infinite e l’unico problema da affrontare era il tempo che sembrava non passare mai. Adesso, schiacciata da mille richieste diverse, avrebbe dato qualsiasi cosa per avere a disposizione anche solo pochi minuti di quel tempo intessuto solo di conoscenza e di silenzio.
E invece, in quello che definisce “il mondo pressurizzato della medicina ambulatoriale contemporanea”, Ofri dichiara senza mezzi termini che semplicemente non c’è tempo per pensare. E che ogni medico si trova, suo malgrado, nella frustrante condizione di dover dedicare a ciascun paziente il minimo indispensabile, con il timore che qualcosa di “atipico” possa sempre emergere, che i risultati degli esami clinici si rivelino contraddittori, che i sintomi non quadrino con diagnosi necessariamente semplificate e frettolose.
Quello di non avere abbastanza tempo per pensare e, ancora peggio, di considerare in modo negativo tutti quei casi clinici che richiederebbero la calma dell’approfondimento, per chi fa del rigore intellettuale il suo cavallo di battaglia è un terribile smacco. Così, racconta Ofri, è capitato che una volta, trovatasi di fronte a un paziente che presentava patologie complesse, che necessitavano più tempo del dovuto per poter essere inquadrate in modo soddisfacente, ha deciso di concederselo quel tempo tanto agognato. E il risultato è stato estremamente gratificante, un po’ come quando si mette finalmente a posto l’armadio e dal giorno dopo si conosce perfettamente il posto di ogni indumento.
Detto questo, però, la conclusione a cui arriva Ofri nel suo articolo non è delle più ottimiste, perché nella realtà della pratica quotidiana nessun medico può permettersi di prendersi tutto il tempo di cui ha bisogno. Per una serie di motivi organizzativi ed economici che, a prescindere da tutto, continuano a regolare il funzionamento del sistema. Quella che Victor Montori chiama la medicina industrializzata, che ha snaturato la propria missione di cura.
Erica Sorelli
In catalogo
Victor Montori. Perché ci ribelliamo. Una rivoluzione per una cura attenta e premurosa. Roma: Il Pensiero Scientifico, 2019.
Danielle Ofri. Cosa dice il malato, cosa sente il medico. Roma: Il Pensiero Scientifico, 2019.