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La dislessia tra realtà, utopie e nuove opportunità
È uscita su Ricerca & Pratica una recensione esaustiva e anche critica al libro La dislessia. Dalla scuola al lavoro nel terzo millennio di Rossella Grenci.
Nella sua articolata disamina, la ricercatrice psicologa Giulia Segre non manca di rilevare i numerosi punti di forza del volume che ha innanzitutto il pregio di illustrare come sia opportuno proporre una nuova concezione di dislessia, fondata sul modello sociale, superando quella basata sul modello medico, secondo la quale la dislessia serve ad attribuire un’etichetta per rappresentare un disturbo, cioè un’identità deficitaria. La dislessia è di fatto una combinazione di difficoltà e abilità che influenza il processo di apprendimento in uno o più ambiti: lettura, ortografia, scrittura e calcolo. Il disturbo, fondato su una base neurobiologica, viene classificato all’interno dei DSA (disturbi specifici dell’apprendimento).
Secondo la visione proposta da Rossella Grenci, scrive Segre “la dislessia ci consente di comprendere come i limiti o i disturbi siano spesso il prodotto della società odierna, nel momento in cui questa ci impone la lettura come unico (o quasi) strumento di apprendimento.” In altri termini, i “deficit” dell’essere dislessici non sarebbero altro che artefatti di aspettative sociali ed educative inappropriate.
Partendo da questo, Rossella Grenci sposta il focus sulla scuola e i meccanismi di apprendimento dei dislessici auspicando l’apprendimento multisensoriale come efficace strategia di coinvolgimento. Ma nonostante la società si stia muovendo in una direzione tale per cui vi è la concreta possibilità di personalizzare e adattare anche le strategie di apprendimento alle diverse esigenze individuali degli studenti, il sistema educativo attuale rimane bloccato ad un approccio di massa, uguale per tutti, e ciò è pericoloso soprattutto per i dislessici.
Secondola Grenci sarebbe auspicabile una maggior autonomia nel sistema scolastico, sia per gli insegnanti che per gli studenti. Dovremmo, insomma, smettere di concentrarci sull’apprendimento come obiettivo educativo, ponendo invece il focus sulla realizzazione, cioè sull’aiutare gli studenti ad essere le persone migliori e più capaci che possono essere. Questo perché adolescenti la cui dislessia non viene riconosciuta e adeguatamente trattata hanno alte probabilità di intraprendere un percorso scolastico difficile e frustrante e conseguentemente di sviluppare depressione, sindrome ansiosa, disistima a altre psicopatologie secondarie. Con Il rischio effettivo che, persistentemente sfiduciati, finiscano per decidere che non valga più la pena studiare ed impegnarsi, arrivando, nei casi più estremi, anche all’abbandono scolastico.
Anche nel mondo del lavoro i dislessici potrebbero mettere proficuamente a frutto la loro neurodiversità se solo se ne riconoscessero apertamente le caratteristiche. Secondo alcuni autori, ad esempio, i dislessici, che utilizzano meglio l’emisfero destro del cervello e, come i nativi digitali, sono dotati di una intelligenza multipla che li rende capaci di gestire contemporaneamente un certo numero di attività diverse, potrebbero usufruire dei vantaggi offerti dai media digitali.
“L’augurio che Rossella Grenci sostiene al termine delle sue riflessioni” scrive Giulia Segre, “è quello che le menti dislessiche possano avere sempre più spazio e maggiori possibilità di realizzare le loro potenzialità, in una società che continuerà il suo cammino verso l’evoluzione e la neurodiversità sarà proprio la lente con cui si dovrà guardare oltre.”
Tuttavia, secondo Segre, la visione dell’autrice sembra sottovalutare la gravità e la persistenza dei numerosi problemi che purtroppo al giorno d’oggi costituiscono ancora un ostacolo per molti soggetti dislessici e per le loro famiglie.
“Nonostante sia scientificamente dimostrato che i soggetti dislessici possono avere delle ‘iperabilità’, queste non sempre trovano un contesto ambientale adatto che consenta loro di manifestarsi. Troppe volte vi sono difficoltà nella tempistica e nella valutazione della dislessia: come sottolineato da Rossella Grenci sono rari i casi in cui la diagnosi viene fatta precocemente e questo comporta anni di frustrazione, sofferenza, vergogna, umiliazione da parte dei compagni, oltre che dolori fisici come forma di somatizzazione (mal di pancia, difficoltà di respiro, ecc.). Anche la valutazione diagnostica non è ancora una prassi che viene effettuata abitualmente e con facilità: deve essere eseguita da specialisti esperti mediante test. Non tutti i genitori hanno la possibilità (tempo e risorse) per seguire un percorso appropriato. Inoltre in alcune situazioni il problema è rappresentato dalla mancata segnalazione precoce da parte dei docenti. Le difficoltà di un dislessico non sono semplici, possono evolvere e modificarsi con il passare degli anni e in ogni fase l’atteggiamento degli insegnati, dei compagni di classe e della famiglia hanno un notevole peso nel determinare evoluzioni positive o negative del vissuto psicologico di questi ragazzi. Bisognerebbe trovare un giusto equilibrio: da un lato si dovrebbe evitare di semplificare il problema attribuendolo a pigrizia, svogliatezza e mancanza di impegno a scuola. Dall’altro lato è necessario che, una volta posta la diagnosi e forniti ai soggetti dislessici gli strumenti e le forme di supporto appropriati, questi siano stimolati ad applicarsi ad apprendere. È vero che i soggetti dislessici hanno delle potenzialità che possono consentire loro di emergere in alcune aree della convivenza. Tuttavia sono molti gli ostacoli che questi devono superare prima di arrivare al traguardo”.
Per questo motivo, conclude la ricercatrice su Ricerca & Pratica, “sebbene molti dei punti sottolineati dall’autrice siano condivisibili, a tutt’oggi parlare di dislessia come abilità è ancora utopico e distante dai vissuti dei soggetti dislessici e dei loro famigliari”.
Erica Sorelli
Ufficio Stampa Il Pensiero Scientifico Editore