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La psichiatria di fronte al terrorismo

Quella che vive il mondo contemporaneo è un’età della paura, non facendo eccezione nemmeno le democrazie, e intendendo per paura il contrario di fiducia. Il terrorismo – in tutto ciò – ha certamente contribuito allo svilupparsi dell’attuale era della paura. E la psichiatria di oggi si domanda tra le altre cose se esista un collegamento tra alcune forme estremiste di religione e psicopatologia.

Quello che la ricerca psichiatrica intanto ha già colto è che paura, insicurezza, urbanizzazione e salute mentale creano un circuito vizioso. Alcuni fattori di rischio di tipo sociale infatti correlano con più alti livelli di insicurezza e quindi maggiore diffusione di sentimenti di paura. Parliamo dello status socio-economico (livello economico ma anche di istruzione), del capitale sociale scarso (vedi supporto sociale) e della segregazione sociale (appartenenza a categorie o minoranze etniche marginalizzati nella e dalla società).

“Tuttavia – ragiona Michele Ribolsi sul fascicolo di Noos dedicato ad alcune attualità in psichiatria – è importante tenere a mente che la correlazione non è un rapporto di causalità. La ricerca suggerisce piuttosto l’esistenza di un rapporto reciproco”. Rapporto per il quale per esempio individui con condizioni di salute peggiori o che hanno vissuto eventi di vita difficili e sperimentato traumi tendono maggiormente a collocarsi in aree più deprivate o svantaggiate; oppure per cui il crescere e vivere in contesti urbani influenza lo sviluppo di malattia, quale per esempio la schizofrenia.

Ma Ribolsi ragiona anche su migrazione e salute mentale da una parte, e su terrorismo e salute mentale dall’altra. Nel caso del primo binomio un dato allarmante viene da un’analisi condotta da Medici senza frontiere: su 2600 migranti sbarcati nel porto di Augusta, la prevalenza registrata di disturbi psicologici e cognitivi è stata del 40%, in particolare di sindromi psicopatologiche quali disturbo da stress post-traumatico (10,2%), ansia (39,6%), depressione (46,1%) e sindromi da somatizzazione (25,6%). I fattori di stress grave per i rifugiati sono i traumi, spesso violenti, subiti nei paesi di origine, il viaggio stesso e l’arrivo. “La fase della post-migrazione sta diventando sempre più importante: isolamento sociale, segregazione, difficili condizioni economiche rappresentano fattori di rischio per la salute sia fisica che mentale”.

Su terrorismo e salute mentale, invece, si è sviluppato recentemente (anche sulla scia degli attacchi terroristici di Parigi del 13 novembre 2015) un filone di ricerca specifico che  – da un lato – cerca di capire come persone giovani in Europa si radicalizzino e decidano di sposare la jihad (caratteristiche che gli estremisti sembrano condividere sono il risentimento verso la società e il bisogno narcisistico di riconoscimento); e – dall’altro – se gli autori di attacchi terroristici soffrano o meno di un disagio mentale, rappresentando quindi “i volti moderni della psicopatia”.

Manuela Baroncini
Il Pensiero Scientifico Editore

 

Leggi l’articolo di Michele Ribolsi su Noos 

 

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