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Le mille espressioni di violenza occulta, mascherata e indiretta del patriarcato

All’indomani dell’ennesimo femminicidio, che questa volta forse più di altre ci ha tenuti incollati ai mezzi d’informazione per seguirne gli sviluppi, ci troviamo nella desolante condizione di non sapere esattamente dove mettere le mani per contribuire, nel nostro piccolo, a cambiare la natura di un contesto che alla luce dei fatti si rivela ogni giorno più intriso di una fondamentale mancanza di educazione al rispetto per la persona umana.

Fortunatamente ci viene in aiuto Ugo Fornari, neuropsichiatra e medico legale, che nel suo denso e ricco articolo uscito sul periodico Il punto  così afferma:  “(…) al di fuori di casi al ‘limite’ – non possiamo costruire sempre e solo teorie individuo-centriche, ma dobbiamo prendere atto che certe espressioni devianti e criminali sono proprie del mondo nel quale viviamo pseudo-globalizzati e iperconnessi, ma soli, spesso indefiniti e fragili e incapaci di comunicare.”

Fornari centra il punto con estrema precisione: “la comprensione del male inferto o subito non si fonda su più o meno dotte classificazioni e ricorso a sofisticate esplorazioni strumentali riservate a singoli soggetti di studio, ma deve aprirsi sull’importanza dei fattori relazionali, ambientali, sociali e culturali, che, anche se non determinanti, concorrono al verificarsi di eventi delittuosi o patologici.”

Quando si parla di violenza esercitata sulla donna occorre tenere nel debito conto l’influenza di determinati scenari sociali, economici e culturali e non solo concentrarsi sull’autore dei comportamenti violenti che “vorremmo fosse isolato e sequestrato nel suo contesto di vita e un po’ degradato attraverso un’etichettatura psicopatologica confortata e arricchita da dati scientifici e predittivi.” Occorre assumersi la responsabilità collettiva dell’arretratezza socio-culturale del nostro Paese, della violenza sottesa che alligna in moltissime relazioni e matrimoni apparentemente “normali” e addirittura felici, del permanere di automatismi per i quali la donna è portata a considerare il benessere del compagno prioritario rispetto al proprio, del sottostare per quieto vivere a una serie di angherie sottili – quando va bene – che ne modificano irreparabilmente la qualità della vita.

Le mille espressioni di violenza  occulta, mascherata e indiretta con cui il patriarcato punisce sistematicamente la donna che desidera emanciparsi e che, anche quando non coincidono con quelle della distruttività direttamente espressa, non risultano per questo meno crudeli e dannose: “l’indifferenza, la solitudine fredda e vuota, il disprezzo, il silenzio scontroso, l’umiliazione, la mancanza di rispetto, la competizione impietosa, la condiscendenza dileggiante, l’autoritarismo fine a se stesso, l’assenso degradante, i rapporti affettivi ed interpersonali instabili e fluttuanti.

Attraverso una prospettiva di reciproca integrazione, suggerisce Fornari, dovremo “ritrovare e riaffermare l’unitarietà del comportamento umano”, particolarmente necessaria in questo nostro tempo in cui a livello sociale e culturale si sono generate esperienze di vita contraddittorie, conseguenti alla sempre minore possibilità di disporre di assetti coesivi e riparatori. Nella consapevolezza che “non è certo con il solo diritto penale e provvedimenti repressivi che si possono promuovere cambiamenti sociali e affermare valori, doveri e diritti”, ma al tempo stesso impegnandoci tutti ad affermare valori, doveri e diritti che devono essere protetti  “sanzionando i trasgressori, che spesso invece godono di provvedimenti blandi e non incisivi” e a ribadire “con fermezza che la legge deve essere rispettata e che il comportamento delinquenziale ha un costo che deve essere tempestivamente ed efficacemente pagato.”

Erica Sorelli
Ufficio Stampa Il Pensiero Scientifico Editore

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