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Linee guida: quale futuro possibile?
Proseguono gli appuntamenti promossi dalla biblioteca online del Dipartimento di Epidemiologia del Lazio dedicati ad Alessandro Liberati a dieci anni dalla sua scomparsa. L’ultimo webinar è stata l’occasione per riflettere su un tema particolarmente caro al ricercatore e nevralgico nella medicina: le linee guida a oltre 30 anni dalla loro introduzione come uno tra gli strumenti utili per il miglioramento della qualità dell’assistenza sanitaria (Quotidiano Sanità).
A distanza di 30 anni da quando le linee guida sono state proposte come uno tra gli strumenti utili per il miglioramento della qualità dell’assistenza sanitaria, il 30 marzo 2022 il webinar organizzato dalla Biblioteca Alessandro Liberati (Bal) curata dal DEP Lazio insieme al Pensiero Scientifico Editore ha provato a fare il punto sulla questione. L’incontro è stato coordinato da Marina Davoli (direttore del DEP Lazio) e ha visto gli interventi di numerosi ospiti nazionali e internazionali che hanno cercato di mettere ordine in uno scenario molto articolato e complesso da cui emergono interrogativi di metodo che chiedono una risposta condivisa. In particolare, attualmente ci troviamo di fronte a un bivio: il sistema di produzione e disseminazione delle linee guida va ripensato oppure una versione attualizzata delle raccomandazioni potrebbe fornire una risposta soddisfacente?
Marica Ferri (responsabile del settore Supporto alla pratica – Public Health Unit-EMCDDA) ha sottolineato come, in assenza di un rigore nella determinazione delle priorità della ricerca a partire dai bisogni del sistema sanitario, si corre il rischio che l’agenda della preparazione di revisioni sistematiche utili alla redazione di linee guida sia dettata più dalle preferenze dei decisori e dei professionisti che dai bisogni di salute dei cittadini e dei pazienti.
A seguire, Emilio Romanini (responsabile della commissione per le linee guida della Società italiana di ortopedia e traumatologia) ha evidenziato come le linee guida diano spesso risposta a esigenze sentite dai clinici ma, al tempo stesso, il loro utilizzo non sembri aiutare a distinguere il medico che usa le evidenze dal professionista semplicemente bravo.
La domanda che a questo punto dell’incontro si è , per così dire, imposta è stata: perché, dopo 30 anni, il medico “bravo” e quello che basa il proprio lavoro sulle evidenze possono non essere la stessa persona? Tra le numerose risposte fornite dall’insieme dei partecipanti all’incontro, ricordiamo quella di Carlo Saitto (medico di sanità pubblica e già direttore generale della ASL Roma C), che dopo aver fornito elementi molto utili per spiegare il diverso punto di osservazione del decisore di sanità pubblica e del clinico, ha concluso affermando semplicemente che il clinico ha bisogno di determinate prove e il decisore sanitario di altre.
Al netto di quanto detto finora, un’altra domanda è emersa spontaneamente: quali sono le strade giuste da percorrere in futuro? Una prima risposta è giunta da Holger Schunemann (epidemiologo della McMaster University, direttore del centro Cochrane canadese e cofondatore del GRADE Working Group), che partendo dell’esperienza fatta durante la pandemia, ha messo in luce la necessità di fornire informazioni di riferimento dinamiche e vive, tali da non dipendere esclusivamente dalla periodicità dell’aggiornamento, elemento che spesso condiziona negativamente l’affidabilità di una linea guida.
Di notevole interesse, sempre a tale proposito, si è rivelata la proposta di Jeremy Grimshaw (docente del Department of Medicine della University of Ottawa in Canada) che ha presentato lo strumento dell’Audit come soluzione utile per soddisfare il bisogno di una metodologia che sostenga i processi di miglioramento della pratica clinica accanto all’adozione di linee guida costantemente aggiornate.
Erica Sorelli
Ufficio Stampa Il Pensiero Scientifico Editore