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Medicina conservativa, ovvero proteggere dall’arroganza
La medicina conservativa non si fida di quello che dicono gli informatori scientifici o le riviste mediche sponsorizzate, ma mette al centro del suo interesse il paziente – un paziente alla volta – e con sapienza sartoriale cuce per lui una terapia ad hoc che tenga conto dei rischi reali e dei presunti benefici. Questo è quanto si legge nell’ultima rubrica “Camici & pigiami” di Paolo Cornaglia Ferraris, che si rifà all’editoriale dedicato alla medicina conservativa di John Mandrola et al. pubblicato sulla rivista Recenti Progressi in Medicina del Pensiero Scientifico Editore.
“I medici conservativi non sono nichilisti”, afferma Mandrola tanto per cominciare. Semplicemente, essi riconoscono “che molti sviluppi promossi come avanzamenti della medicina offrono benefici che, al massimo, possono essere ritenuti marginali.” In altri termini, “il medico conservativo adotta terapie nuove nel momento in cui il beneficio è chiaro e le prove a supporto sono solide e prive di bias.” Pensiamo alla terapia resincronizzante cardiaca per pazienti con scompenso cardiaco sistolico e blocco di branca sinistra tipico, agli anticoagulanti orali diretti per la prevenzione delle trombosi arteriose e venose e al rituximab per il linfoma. Si tratta di terapie che danno benefici evidenti sia in termini di popolazione sia in termini individuali. Perché il punto, spiega ancora Mandrola, è proprio questo: il medico conservativo sa che, anche quando studi clinici mostrano senza possibilità di dubbio che un farmaco, un dispositivo o un intervento chirurgico hanno raggiunto una soglia statistica, il beneficio reale che ne deriva per un singolo individuo può, in realtà, rivelarsi molto inferiore rispetto a quello che viene annunciato o pubblicizzato. Al contrario i medici conservativi resistono “all’impulso di confondere i benefici che una terapia ha su una popolazione con quelli che essa ha su un individuo.”
Per quanto riguarda l’aspetto della commercializzazione dei farmaci – argomento di per sé spinoso, e in questo caso ancora più foriero di equivoci – Mandrola sostiene che i medici conservativi sanno che “quando il denaro è in gioco, aumenta il rischio dell’eccesso di enfasi” e per questo motivo “si oppongono con vigore all’eccesso di enfasi in tutte le sue forme”. Ma ciò non significa che i medici conservativi abbiano “un atteggiamento di opposizione verso l’impresa privata, il capitalismo, l’accumulo di ricchezza”, al contrario essi si oppongono “al progresso medico, e all’accumulo della ricchezza privata che lo accompagna, nel momento in cui questo si realizza dietro al pretesto di “scienza”, senza che siano osservabili miglioramenti significativi degli esiti di salute dei pazienti”.
In conclusione, afferma Mandrola “il medico conservativo riconosce i vantaggi che derivano dalla confluenza di interessi tra le ragioni di profitto dell’industria e il progresso della ricerca” ma “è pragmatico riguardo alla natura umana e riguardo al modello commerciale prevalente della scienza medica”. E se alcuni possono definire nichilista questo sistema di riferimento, “il medico conservativo lo considera protettivo nei confronti del nostro più grande nemico: l’arroganza”.
Perché, alla fine dei conti, il medico conservativo ha soprattutto un grande rispetto per l’organismo umano e riconosce che anche i migliori modelli predicono solo raramente il successo di un nuovo intervento. Il vero progresso medico è in realtà un processo lento e difficoltoso soprattutto perché la natura ha equipaggiato il nostro organismo di proprietà curative intrinseche.
Erica Sorelli