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Medicina personalizzata: chi l’ha vista?

La recente raccomandazione della Food and Drug Administration – il messaggio ai medici è: analizzate sempre il genotipo dei pazienti per specifici biomarker prima di prescrivere 70 farmaci comunemente usati – ha fatto emergere le contraddizioni di una situazione che va avanti da un po’ e rischia davvero di scadere nel ridicolo.

Quasi tutti i medici sanno che i profili genetici dei loro pazienti influenzano anche pesantemente l’efficacia dei trattamenti e l’outcome clinico, ma quasi nessuno fa nulla (o può fare nulla) nella pratica clinica quotidiana per conoscere questi profili genetici. Quasi tutti i medici si riempiono la bocca dell’espressione “Medicina personalizzata”, ma quasi nessuno la pratica. E questo è quanto.

Una indagine dell’American Medical Association (AMA) e del Medco Research Institute ha rivelato che sebbene il 98% dei medici statunitensi dichiari che i test genetici possono rivelarsi essenziali per impostare il trattamento dei pazienti, solo il 10% si dichiara sufficientemente informato su come condurre tali test, su quali sono i biomarker da valutare, su come possono predire la sicurezza o l’efficacia di questo o quel trattamento.

“Meno dell’1% dei percorsi terapeutici oggi sono realizzati seguendo la via indicata dai test genetici”, rivela Felix Frueh della Medco. “La strada che porta alla traslazione di questa nuova tecnologia è ancora molto lunga, purtroppo”. A dar retta ai sommari delle riviste medico-scientifiche, letteralmente ogni giorno nuovi biomarker vengono identificati, e nuove varianti genetiche correlate al rischio di una certa patologia o alla risposta a un certo trattamento vengono individuate. Si stima che siano oggi disponibili più di 1200 test genetici su più di 1000 patologie, ma solo il 13% dei medici statunitensi ha effettuato un test genetico negli ultimi 6 mesi, figuriamoci che dato rileveremmo se lo chiedessimo ai medici italiani.

Vance Vanier, CEO dell’azienda biotech Navigenics, sottolinea: “Questa mancanza di implementazione è la ragione per la quale la cosiddetta Medicina personalizzata di cui tutti parlano non è ancora una realtà clinica diffusa e consolidata. Colpa di quello che io chiamo il ‘gap di adozione’ tra i progressi in laboratorio e i benefici in ambulatorio”.

Ma quale sarebbe il meccanismo più efficace per diffondere la consapevolezza delle potenzialità dei test genetici tra i medici di base, per esempio? Far loro superare alcuni pregiudizi, sostiene sempre il buon Frueh: “Il peso dei fattori di rischio genetici è largamente sottostimato dai medici, e ce lo dimostrano numerosi studi. Ritengono che la differenza di rischio relativo se si confrontano fattori genetici e fattori comportamentali come il fumo sia di 10-15 volte e invece è di 1-2 volte, per esempio. Sono affezionati ai fattori predittivi tradizionali, non c’è nulla da fare. Sta ai ricercatori dimostrare alla classe medica con più convinzione la validità di questi nuovi tool, l’approccio ‘crea la Medicina personalizzata e i medici arriveranno e la useranno’ non sta funzionando, poco ma sicuro”.

Fonte: Grant B. The ghost of personalized medicine. The Scientist 14/06/2011.

david frati

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