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Palliazione e spiritualità fanno parte della cura

E’ uscito il primo numero dell’anno di Rivista italiana di cure palliative  Tra i numerosi contenuti, segnaliamo in particolare la riflessione di Sandro Spinsanti Cure palliative e spiritualità: armonie e dissonanze.

Quello tra cure palliative e spiritualità potrebbe sembrare a prima vista un matrimonio felice, ma ad un’analisi più attenta, come quella articolata da Spinsanti, emerge come al contrario i due elementi messi insieme tendano a danneggiarsi reciprocamente. “Se le prendiamo isolatamente, non abbiamo niente da eccepire”, spiega Spinsanti, “le cure palliative sono una dimensione della buona pratica medica e la spiritualità è un’auspicabile potenzialità di sviluppo per l’essere. È la loro vicinanza che costituisce un pericolo.” Vediamo insieme perché.

Le cure palliative sono spesso intese come l’equivalente laico del sacramento dell’estrema unzione, andando così a costituire solo l’accompagnamento alla morte, che invece, non è di pertinenza medica. “Le cure palliative non presuppongono l’abbandono terapeutico del paziente che sta morendo, grazie al passaggio a un’altra agenzia, che sia la spiritualità o la palliazione.” Esse hanno il compito di lenire il dolore e contrastare i sintomi attraverso una serie di interventi terapeutici anche sofisticati.  In altri termini, non è che una volta che oncologo o pneumologo hanno terminato di svolgere la loro funzione debba comparire sul palcoscenico il palliativista (o il prete), ovvero lo specialista a cui compete di occuparsi del trapasso.

L’approccio palliativo”, specifica Spinsanti, “dovrebbe essere proprio di ogni curante; ed essere ‘simultaneamente’ presente sul lungo percorso di cura. Non è un’altra medicina, né un’alternativa alla medicina: la palliazione è parte costitutiva del rapporto di cura, nella situazione in cui non si abbiano interventi capaci di contenere l’avanzata della patologia.”

Inoltre – prosegue Spinsanti – se la palliazione non deve essere isolata nel segmento finale della vita, quando si ritiene che sia giunto il momento di sgomberare il campo dalla medicina per lasciare il compito dell’assistenza alla spiritualità, altrettanto nocivo per la vita spirituale stessa è confinare la spiritualità sulla soglia terminale della vita.  La spiritualità è una risorsa a cui attingere durante l’intero arco della vita, non è un’attività residuale da svolgersi negli ultimi giorni o nelle ultime ore dell’esistenza, quando la patologia si aggrava inesorabilmente.

La spiritualità, si legge nel volume pubblicato da Il Pensiero Scientifico Editore Sulla terra in punta di piedi  di Sandro Spinsanti non è “qualcosa di residuale, da invocare quando il percorso di cura è costretto a confrontarsi con l’esaurirsi delle risorse terapeutiche: la spiritualità innerva tutto il percorso della cura. Spiritualità può essere, a buon diritto, un altro nome per la cura, quando questa non si lascia ridurre a una semplice riparazione.”

Se l’accostamento di palliazione e spiritualità non porta a una reciproca restrizione di azione e ad un impoverimento di senso, potrebbe nascere una collaborazione fruttuosa. Come stanno a dimostrare “quelle realtà, che esistono anche se sono ancora rare, dove spiritualità e palliazione sono concepite in senso proattivo e abbracciano un ampio raggio del percorso di cura.”

L’auspicio con cui Spinsanti conclude la sua riflessione è che la medicina narrativa possa raccogliere e diffondere queste preziose testimonianze.

Erica Sorelli
Ufficio Stampa Il Pensiero Scientifico Editore

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