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Per Global Social Health Protection Fund

Creare un “Global Social Health Protection Fund” (Fondo Globale per la Protezione della Salute) che prenda ispirazione dai vantaggi in termini di messa in comune delle risorse finanziarie (pooling) offerti da partnership globali come il Global Fund per HIV, Tubercolosi e Malaria, ma senza sposarne l’approccio mono- o pauci-tematico. Ecco la proposta che arriva dal mondo scientifico e che il blog di Politica sanitaria Salute Internazionale riprende e analizza.

Il nuovo fondo globale per la salute, come una specie di assicurazione universale, sfrutterebbe economie di scala finanziarie per portare la condivisione del rischio dal livello nazionale a quello globale, spostando il focus dal livello-paese a livello-individuo e, ovviamente dall’attenzione verso singole malattie ad un approccio integrato per la salute. Infine, assicurerebbe lo svincolamento dell’aiuto dalla dipendenza da priorità politiche che non sempre rispondono a obiettive priorità geografiche ed epidemiologiche, né ai veri bisogni dei paesi riceventi.

Spiegano Daniele Ravaioli e Eduardo Missoni del Global Health and Development – CERGAS, Università Bocconi: “L’economia globale ha mostrato nell’ultimo decennio una grande fragilità messa in evidenza dalla crisi finanziaria che, iniziata negli Stati Uniti e estesasi rapidamente agli altri paesi industrializzati, l’Europa in particolare, ha colpito duramente i paesi che contribuiscono maggiormente al sistema degli aiuti ai paesi in via di sviluppo. Questa situazione di grande volatilità e incertezza futura ha avuto un impatto anche sul sistema sanitario globale. Nonostante la crescita costante dei flussi monetari sotto forma di Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) indirizzati ai sistemi sanitari dei paesi in via di sviluppo l’efficacia degli aiuti è ancora carente e la comunità internazionale è più che mai impegnata nella sfida per migliorarla”.

La comunità internazionale ha più volte ribadito la necessità di interventi con un orizzonte temporale di lungo periodo e finanziamenti su base pluriennale (forum di Accra, 2008), ma in pratica alcune agenzie hanno continuato ad evitare questo approccio con motivazioni quali:

– la mancanza di volontà ad impegnarsi oltre il termine di singoli mandati governativi
– la possibilità di deviazioni legate alla corruzione e alla cattiva gestione locale delle risorse
– l’incapacità dei paesi riceventi di pianificare sul lungo periodo
– la poca flessibilità rispetto a nuove sfide emergenti
– la creazione di incentivi negativi per il sistema fiscale di finanziamento domestico.

Una maggiore prevedibilità e certezza dei fondi è invece necessaria e soprattutto è indispensabile nel settore sanitario, le cui caratteristiche specifiche, quali i costi ricorrenti del sistema, la lunga durata sia della formazione professionale del personale sanitario che di trattamenti per alcuni tipi di malattie (si pensi ai trattamenti antiretrovirali per l’HIV/AIDS), richiedono la sottoscrizione di piani di finanziamento pluriennali e fondi sicuri e costanti. Questo scenario è ulteriormente complicato da un’architettura degli aiuti altamente influenzata dalle priorità individuali e interessi particolari dei paesi donatori e, dall’altro lato, da una scarsa capacità istituzionale alla pianificazione di lungo periodo. Il problema si manifesta con maggiore evidenza per le agenzie bilaterali spesso soggette a decisioni parlamentari annuali. Attori multilaterali e GHPs invece, nonostante siano partecipate dalle stesse agenzie nazionali, risultano influenzati in maniera molto minore da aspetti di natura politica, riuscendo sia a raccogliere un maggior volume di fondi (attraverso replenishment round pluriennali, impegni di lungo periodo e meccanismi di finanziamento innovativi) sia a finanziare lo sviluppo nel lungo periodo.

L’efficacia e la sostenibilità nel lungo periodo degli aiuti allo sviluppo dipende fortemente anche dalle strategie sanitarie nazionali e dagli strumenti e modalità usati per la loro distribuzione. Anche in questo caso vi è notevole differenza fra l’approccio dei donatori bilaterali, che tendono a sostenere le strategie pluriennali (3-5 anni) dei paesi riceventi attraverso SWAP (Sector Wide Appproach) o PRS (Poverty Reduction Strategies), e quelle di organizzazioni di partnership globali, come Global Fund e Gavi, che invece rendono disponibili i fondi in base alle proposte di finanziamento presentate dai paesi beneficiari sulla base di bandi e criteri emessi da quelle stesse Organizzazioni.

Concludono Ravaioli e Missoni: “Incanalando verso un Global Social Health Protection Fund tutte le risorse destinate all’aiuto allo sviluppo in sanità, ivi incluse quelle generate dai meccanismi di finanziamento innovativi (come ad esempio l’IFFIm) si potrebbero aprire nuove frontiere in termini di volumi di risorse finanziarie disponibili sul lungo periodo, gettando le premesse per una reale efficacia di quelle stesse risorse anche in termini di titolarietà (ownership), allineamento, armonizzazione, risultati e responsabilità (accountability). La vere sfide sarebbero ancora una volta la governance e la gestione del Fondo”.

FonteRavaioli D, Missoni E. La sostenibilità degli aiuti allo sviluppo per la salute. Salute Internazionale 02/02/2011.

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