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Sapere di non sapere e non sapere di non sapere

Un gioco di parole per descrivere due atteggiamenti mentali che possono determinare il successo o l’insuccesso di un processo diagnostico.

Gurpreet Dhaliwal è stato invitato dal JAMA Internal Medicine a commentare due articoli sugli ostacoli che rendono difficile trovare risposte a quesiti clinici in presenza della persona malata (Cook et al) e sull’accuratezza diagnostica in casi più o meno complessi (Meyer et al).

La riflessione di Dhaliwal, un virtuoso della diagnosi e autore di numerosi articoli sull’argomento, parte dalla considerazione che la principale spinta al “lifelong learning” è la risoluzione dei problemi clinici dei pazienti. L’occasione ideale per accumulare esperienza e conoscenza è l’incontro clinico e la ricerca di risposte ai quesiti mano a mano che si presentano (point-of-care learning).

I principali ostacoli alla possibilità di sfruttare tale occasione sono la mancanza di tempo e la complessità dei casi. La priorità: l’efficienza della risorsa. E cioè l’informazione più affidabile e appropriata, formulata in modo sintetico e reperibile nel minor tempo possibile: caratteristiche spesso in conflitto.

Ma qual è l’accuratezza diagnostica nei casi più complessi? Non particolarmente elevata, secondo la ricerca pubblicata sul JAMA Internal Medicine (Meyer et al). In un totale di 118 medici di medicina interna statunitensi, il 55% è riuscito a formulare una diagnosi corretta per due casi clinici abbastanza semplici e il 6% per due casi più difficili. Da sottolineare che la sicurezza dei medici nella propria accuratezza diagnostica differiva di poco rispetto alla complessità dei casi (in una scala da 0 a 10 è stata rilevata una sicurezza di 7,2 per i casi più semplici e di 6,4 per i casi più difficili). In termini più espliciti: nei casi difficili la maggior parte dei medici formulava una diagnosi sbagliata, con pochi dubbi sulla sua precisione. La strada da percorrere per diagnosi più accurate e per continuare ad apprendere dai propri pazienti è migliorare le tecnologie disponibili, la pratica clinica, le certificazioni e i processi mentali.

Dhaliwal, in un altro articolo pubblicato sul JAMA, traccia il ritratto del super diagnosta del passato, del presente e del futuro ed elenca una serie di caratteristiche comuni a tutti, al di là di raccomandazioni “ovvie” quali “siate accurati” e “ascoltate sempre i pazienti”.

Centralità della conoscenza: “non confondere l’accesso a risorse infinite con la conoscenza infinita (…) il grande diagnosta continuerà ad ampliare costantemente il proprio database interno, non passerà il tempo semplicemente a cercare di accedere a un database”.

Conoscere i propri limiti. Essere costantemente vigili e consapevoli della potenziale fallacità dei propri processi cognitivi. Come abbiamo visto nell’articolo di Meyer et al. c’è un’ampia, infondata sicurezza sulla propria capacità di giudizio.

Sovraccarico cognitivo. Attualmente è impossibile sapere tutto, è difficile rispondere alle esigenze dell’assistenza e trovare il modo di ridurre il carico cognitivo nella pratica quotidiana. Il diagnosta del futuro userà abitualmente checklist e ausili decisionali per superare i limiti cognitivi della mente umana e lasciarsi spazio per le questioni più complesse.

La sfida, conclude Dhaliwal, è strutturare il training e l’ambiente di lavoro in modo tale che sia possibile prendersi cura dei pazienti continuando ad apprendere per l’intero corso della vita lavorativa: così il grande diagnosta sarà la norma e non l’eccezione.

arabella festa

Fonti
Dhaliwal G. Known Unknowns and Unknown Unknowns at the Point of Care. JAMA Intern Med. Published online August 26, 2013. doi:10.1001/jamainternmed.2013.7494.
Meyer AND; Payne VL, Meeks DW, Rao R, Singh H, MD. Physicians’ Diagnostic Accuracy, Confidence, and Resource Requests: A Vignette Study.
JAMA Intern Med. 2013;():-. doi:10.1001/jamainternmed.2013.10081.
Cook DA, Sorensen KJ, Wilkinson JM; Berger RA. Barriers and Decisions When Answering Clinical Questions at the Point of Care: A Grounded Theory Study. JAMA Intern Med. 2013. doi:10.1001/jamainternmed.2013.10103.
Hafner K. For second opinion, consult a computer? The New York Times, December 3, 2012.
Dhaliwal G, Detsky AS. The Evolution of the Master Diagnostician. JAMA. 2013;310(6):579-580. doi:10.1001/jama.2013.7572.

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