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Sindrome post-ospedaliera

Negli Stati Uniti quasi un quinto delle persone ricoverate in ospedale subisce un nuovo ricovero nel corso del mese successivo alla dimissione. Nella maggior parte dei casi il nuovo ricovero avviene per cause diverse da quelle legate al primo.

Sul NEJM un articolo di Harlan Krumholz (Yale University School of Medicine) invita a non concentrarsi unicamente, nella fase post-ricovero, sulla malattia acuta che ha portato all’ospedalizzazione. I degenti soffrono di quella che chiama sindrome post-ospedaliera, un periodo transitorio di vulnerabilità acquisita.

Le persone ricoverate sono stressate per una serie di ragioni che trascendono il motivo dell’ospedalizzazione: soffrono di deprivazione di sonno, vedono distrutti i loro normali ritmi circadiani, affrontano una serie di stress emotivi, assumono farmaci che possono provocare alterazioni fisiche e cognitive. Molte persone hanno un’alimentazione insufficiente, anche a causa degli esami diagnostici che spesso vanno effettuati a digiuno (e poi, talvolta, vengono rimandati).

Bisogna agire su due fronti, dice Krumholz: da un lato “rendere gli ospedali meno tossici“, dall’altro seguire con attenzione la persona nelle settimane che seguono la dimissione e cercare di prevenire infezioni, disturbi metabolici, cadute, traumi e il ventaglio di eventi che si verificano durante questo periodo di “rischio generalizzato”.

arabella festa


Fonte

Krumholz HM. Post-Hospital Syndrome. An Acquired, Transient Condition of Generalized Risk. N Engl J Med 2013; 368: 100-2

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