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Tumore cervicale: il punto sul vaccino
Alla conferenza romana organizzata da O.N.Da e Ministero della Salute, specialisti di salute pubblica si sono incontrati per discutere del calo di adesioni alle campagne vaccinali contro il virus HPV sul territorio.
I persistenti dubbi su efficacia e sicurezza del vaccino, i suoi costi, la scarsa informazione a tema, uniti al parere di medici ancora scettici, sarebbero i fattori che hanno condizionato negativamente i risultati della campagna di prevenzione vaccinale del cancro alla cervice. L’obiettivo della campagna, avviata dal Ministero della Salute nel 2007, è di ottenere entro il 2012 la copertura vaccinale per il 95% delle ragazze nate nel 1997, attraverso l’accesso gratuito al farmaco.
Se ne è parlato al convegno “Vaccinazione contro il cancro al collo dell’utero: una partita ancora aperta”, organizzato a Roma da O.N.Da (Osservatorio Nazionale Salute Donna) e Ministero della Salute, alla presenza di Sergio Pecorelli (Presidente AIFA), Stefania Salmaso (epidemiologa dell’ISS), Walter Ricciardi (dell’Istituto Igiene e Medicina Preventiva della “Cattolica” romana) e Francesca Russo (Responsabile cordinamento interregionale Igiene Pubblica). Voci autorevoli, moderate dalla presidentessa dell’Osservatorio Francesca Merzagora, che hanno fatto il punto su quanto finora ottenuto dai piani vaccinali sul territorio italiano. Secondo le stime attuali (ISS), ad assumere le tre dosi previste del vaccino è stato solo il 59% del gruppo che ha il diritto ad accedervi gratuitamente. Un dato che evidenzia un netto rallentamento dell’Italia sulla propria “tabella di marcia” ponendola in ritardo rispetto a molti paesi d’Europa, continente dove, spiega il Presidente Pecorelli, “si assiste ad un vero disastro epidemiologico, con 60mila nuovi casi all’anno di tumore al collo dell’utero”.
A rendere il nostro paese un esempio ben poco virtuoso nella lotta al papilloma virus, primo fattore di rischio di un cancro che in italia continua a colpire 3.500 donne all’anno e ad ucciderne mille, non sarebbe solo “l’incapacità tutta italiana di mantenere desta l’attenzione sui temi di salute pubblica”, come nota Pecorelli, ma anche la grave mancanza di informazione fra quelli che dovrebbero essere i primi promotori della scelta vaccinale: i genitori.
Tanto è vero che, nonostante le campagne di sensibilizzazione che da gennaio 2008 Regioni, ASL e distretti hanno avviato per migliorare la conoscenza sul vaccino anti-papilloma, ancora il 56% delle mamme dichiara di non aver ricevuto specifiche informazioni o di non aver sentito parlare della vaccinazione, a fronte di un 22,7, che ritiene di avere ricevuto un’informazione chiara e completa ed un misero 18,9, che è pienamente consapevole di che cosa sia il papilloma virus od HPV. Sono percentuali emerse da un’idagine O.N.Da su 1.500 mamme intervistate on-line in territorio nazionale con figlie tra gli 11 e i 18 anni. “Ciò che chiedono queste mamme – spiega la presidente O.N.Da – è una maggiore rassicurazione su efficacia, sicurezza e costi della vaccinazione da parte di pediatri, medici di famiglia e ginecologi. Rassicurazione che raramente ricevono”.
Ma come sperare che questo accada se è proprio la classe medica a non essere convinta dell’efficacia e della sicurezza del vaccino? È questa, infatti, l’impressione di chi assiste al dibattito nella sala Carroccio del Campidoglio. Emerge chiaro dalle polemiche espresse da Francesca Russo, secondo la quale nei piani di vaccinazione si dovrebbe dare maggior peso alla formazione di ginecologi e pediatri ospedalieri – “di corsi ne abbiamo fatti, ma loro hanno mandato le infermiere…” – su un farmaco che avrebbe già provato la propria sicurezza “grazie al sistema di rilevazione delle reazioni avverse applicato alla popolazione vaccinata”; nelle parole di Ricciardi, per il quale non si spende abbastanza in prevenzione, “basti sapere che in Inghilterra (dove grazie al vaccino l’incidenza del cancro cervicale è scesa da 3.700 a 800 casi) i medici più virtuosi in fatto di pazienti vaccinati vengono premiati con ingenti somme di denaro pubblico”; e nell’analisi di Pecorelli, per cui sarebbero i pediatri, più che i ginecologi, a frenare maggiormente la penetrazione del vaccino sul territorio. “Se infatti i ginecologi, abituati a gestire le conseguenze del papilloma sulla popolazione femminile, sono più consci dei benefici potenziali di una vaccinazione a tappeto, i pediatri restano scettici”, spiega il presidente AIFA in un’analisi che convince un po’ tutti: sarebbero loro, infatti, i primi referenti delle pazienti a cui il vaccino gratuito è dedicato perché in un’età in cui – almeno in teoria – l’attività sessuale non è ancora iniziata.
Dunque problemi di tipo informativo, formativo e culturale sarebbero alla base del rallentamento delle adesioni ad un vaccino che Pecorelli definisce “epocale” (perché capace di combattere un virus oncogeno e perché – “essendo l’HPV agente patogeno non solo per il distretto genitale” – in grado di assumere una valenza non solo di genere), ma anche problemi di tipo politico – suggerisce in conclusione la Russo – ricordando che, in questa direzione, la strada è già aperta: “da oggi in alcune regioni d’Italia, come il Veneto ad esempio, l’attribuzione di cariche dirigenziali in sanità dovrà passare anche dal calcolo della copertura vaccinale ottenuta dai candidati”.
Fonte:Convegno “Vaccinazione contro il cancro al collo dell’utero: una partita ancora aperta”, Roma 27 gennaio 2011.