L’autorevolezza dei medici e dei ricercatori che trasmettono messaggi al pubblico non deriva dal loro curriculum accademico e dal loro prestigio professionale ma dalla vicinanza percepita ai valori culturali di chi li ascolta. Lo rivela uno studio pubblicato dal Journal of Risk Research.
I ricercatori della Yale University di New Haven coordinati da Dan M. Kahan hanno cercato di capire perché il grande pubblico si divide anche su temi che nell’ambito della comunità medico-scientifica hanno raggiunto un ampio consenso e sui quali c’è un’incessante opera comunicazionale da parte di esperti qualificati. “Sapevamo da precedenti studi che le persone con valori individualistici e che hanno un forte attaccamento al commercio e all’industria tendono a essere scettici sull’allarme ambientale”, spiega Kahan, “mentre le persone con valori egalitari tendono viceversa a credere che industria e commercio danneggino l’ambiente”.
A quanto pare in ambito medico accade lo stesso: le persone tendono ad accettare e condividere la qualifica di ‘esperto’ che la comunità accademica o i mass media attribuiscono a uno scienziato soltanto se costui prende una posizione compatibile con i loro valori culturali.
“La gente tende a prendere con beneficio d’inventario quello che afferma un esperto, ma non per prudenza o buon senso: per pregiudizio”, afferma Kahan. “E lo considera un messaggio degno di nota e proveniente da un vero esperto solo se è compatibile con la posizione che considera culturalmente a lui congeniale”.
Fonte:
Kahan DM, Jenkins-Smith H, Bramanc D. Cultural cognition of scientific consensus. Journal of Risk Research 2010; DOI: 10.1080/13669877.2010.511246.