In primo piano
Una “adeguata interpretazione” dei dati ci salverà dall’incertezza
Di fronte alla quotidiana conta dei positivi, che giorno dopo giorno risulta sempre più indigesta, il dibattito che coinvolge a vario titolo esperti e politici si sta polarizzando su due posizioni contrapposte, i favorevoli e i contrari. Tra questi ultimi annoveriamo ad esempio l’infettivologo Matteo Bassetti che, come riporta Margherita De Bac sul Corriere della Sera, “ha affossato l’attuale modalità di gestione delle informazioni” dal momento che “oggi nel calderone dei positivi finiscono anche quelli ricoverati per un braccio rotto e che poi risultano avere il virus. Il bollettino non serve a nulla, è ansiogeno. Che senso ha dire che abbiamo 250 mila persone con test positivo? Bisogna specificare se sono asintomatici, oppure no. Se vengono seguiti a casa oppure sono ricoverati e dove. Stiamo sfigurando con il resto del mondo. A leggere i numeri sembra che in Italia vada tutto male”.
Sul fronte opposto, tra coloro che sono favorevoli al bollettino quotidiano, Lucia Bisceglia, presidente dell’Associazione italiana di epidemiologia (Aie), sostiene con forza che rinunciare all’attuale sistema quotidiano di monitoraggio equivarrebbe a “rompere il termometro quando abbiamo la febbre”, e spiega: “Il monitoraggio dei contagi giornaliero è una guida. E’ il termometro della situazione perché i ricoverati e i decessi sono proporzionati ai positivi. Quindi possedere informazioni costanti e tempestive ogni giorno ci mette nella condizione di intercettare sul nascere i segnali di allerta. Sono informazioni in base alle quali disegnare previsioni e costruire-orizzonti”.
Posizioni contrapposte che, aldilà delle personali convinzioni di ciascuno, contengono indubbiamente elementi di incontrovertibile validità. Come di solito avviene in casi complessi come questi, l’incremento di informazioni, che di per sé sembra garanzia di maggior trasparenza, aumenta l’incertezza. Tornano in mente le parole di Carlo Perucci (già direttore del Programma nazionale esiti) che, intervistato dal periodico Forward del Pensiero Scientifico Editore, qualche anno fa dichiarava: “L’aumento delle conoscenze disponibili, anche attraverso i big data, non è destinato a ridurre l’incertezza, semmai a renderci maggiormente consapevoli di tutto quello che non conosciamo.”
In altre parole, secondo Perucci, la produzione di enormi volumi di dati e di informazioni non semplifica gli scenari decisionali, ma al contrario costringe i decisori a confrontarsi con livelli più complessi di incertezza nonché ad essere esposti a critiche maggiori e più documentate.
“Mi permetto di dire”, aggiungeva Perucci, “che il problema non è quanto big siano i dati, ma quanto sono grandi, forti e oneste l’autonomia, l’indipendenza e l’integrità di coloro che li progettano, gestiscono, analizzano e interpretano.”
A ben guardare, si tratta delle stesse conclusioni a cui oggi arriva il sottosegretario Pierpaolo Sileri quando afferma sul Corriere della Sera: “nell’immediato e in attesa di raccogliere evidenze sull’opportunità di passare a un diverso meccanismo, ritengo utile la comunicazione puntuale e trasparente di tutti i dati, accompagnata da un’adeguata interpretazione che aiuti i cittadini a orientarsi meglio”.
Il nocciolo della questione è tutto all’interno di quella “adeguata interpretazione”.
Erica Sorelli
Ufficio Stampa Il Pensiero Scientifico Editore