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Vaccini: l’obbligo è (di) legge
Il tema è di quelli caldi, anzi scottanti: vaccinazioni, coperture vaccinali, presunte epidemie. A metterci, per ora e non senza conseguenze (dalla portata ancora sconosciuta), la parola “fine” è stato il decreto legge che introduce l’obbligo di vaccinazione per l’accesso alla scuola, varato dal Consiglio dei ministri il 19 maggio scorso e ora alla firma del presidente della Repubblica. Le vaccinazioni obbligatorie, in coerenza con il Piano nazionale di prevenzione vaccinale, salgono a 12. Senza queste vaccinazioni verrà sbarrato l’accesso ad asili nido e scuole dell’infanzia; mentre per la scuola dell’obbligo, la mancata vaccinazione sarà punita con una sanzione pecuniaria. Il provvedimento vorrebbe invertire la tendenza degli ultimi anni alla diminuzione delle coperture vaccinali e contrastare, quindi, morbilità e mortalità associate ad alcune malattie infettive.
Nel recente dibattito sulle coperture vaccinali, in atto già prima del decreto, “il capro espiatorio è stato il rifiuto alle vaccinazioni sostenuto in particolare dai movimenti antivaccinazione che nel tempo si sono sempre più affermati; fenomeno non solo italiano e non recente. In realtà, questo spiega solo una parte del fenomeno. (…) L’organizzazione del sistema di offerta, la credibilità e autorevolezza degli operatori sanitari, le caratteristiche demografiche e sociosanitarie sono, per esempio, altri fattori che contribuiscono alla diminuzione delle coperture”, scriveva Maurizio Bonati su Ricerca&Pratica subito prima l’emanazione del decreto legge sull’obbligatorietà delle vaccinazioni.
Alla base del rifiuto e del ritardo vaccinali ci sono timori e preoccupazione per eventuali eventi avversi, per il numero considerato eccessivo di vaccini da somministrare e per la sicurezza e l’efficacia attribuite agli stessi. Si tratta tra l’altro – secondo Bonati – di “preoccupazioni comprensibili che una appropriata e continua informazione ed educazione sanitaria potrebbero ridurre. Una necessità nazionale valida per tutti gli ambiti sanitari, non solo quello preventivo, determinata dall’analfabetismo sanitario generalizzato. È difficile, per esempio, far comprendere il significato di ‘rischio’ o ‘probabilità’ e conseguentemente le azioni correlate, ma questo è uno degli obiettivi per una partecipazione attiva, consapevole e responsabile (anche) in ambito vaccinale”. La partecipazione attiva, informata e responsabile richiede quindi un approccio educativo – in primis – e al quale non sembra andare incontro un decreto legge così fatto.
Alle stesse conclusioni arriva un secondo contributo di Bonati, a firma anche di Antonio Clavenna, in cui si va oltre e dove si legge che “le misure coercitive dovrebbero essere un’extrema ratio, da attivare in presenza di un pericolo concreto e imminente per la salute dei singoli e della comunità e in mancanza di possibili alternative. Il rischio associato alla sola introduzione di un nuovo obbligo è di semplificare eccessivamente una realtà complessa, che necessita di un approccio multimodale di informazione, formazione e responsabilizzazione di tutti (anche degli operatori sanitari e sociali e degli educatori che nella maggioranza non si vaccina o non si è vaccinato a suo tempo, come i recenti casi di morbillo documentano), di attenzione, di tempi e di spazi di ascolto e intervento”.
Manuela Baroncini