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Ascoltando(si) si impara
Ascoltando(si) si impara |
Barbara De Mei (Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione delle Salute, Istituto Superiore di Sanità) su "Saper ascoltare, saper comunicare", di Guido Tuveri |
![]() Le competenze comunicativo-relazionali del medico e, più in generale, dell’operatore sanitario stanno oggi assumendo un’importanza sempre più significativa nella definizione della professionalità. Le sole competenze tecnico-scientifiche non sono infatti più sufficienti per attuare programmi di promozione della salute e per la cura della malattia. Inoltre, negli ultimi anni si sta assistendo a un cambiamento del rapporto medico-paziente e conseguentemente della modalità di comunicazione. Sempre più, rispetto al passato, i cittadini vogliono capire e partecipare alle scelte sulla propria salute. Il medico, che ha così perso in parte “il potere del ruolo”, si trova ad affrontare nuove difficoltà di diversa natura nella relazione con i pazienti e con i familiari. Spesso le difficoltà maggiori emergono proprio nel rapporto con persone colpite da malattie gravi, come quelle oncologiche, dove il contatto con la sofferenza dell’altro, il bisogno di verità e la paura della morte costringono il medico a doversi confrontare con se stesso. Abilità comunicative e competenze relazionali specifiche diventano essenziali tanto per ascoltare l’altro (la persona malata o il familiare), e per comprenderne esigenze e paure, quanto per imparare ad ascoltare se stessi e le proprie emozioni. ” Imparare a comunicare di più e meglio con le persone malate di tumore e con i familiari può migliorare la loro condizione rendendoli più partecipi e meno soli, ma può migliorare anche la condizione del medico accrescendo la soddisfazione per il recupero di un rapporto più consapevole e solidale”, si legge nella prefazione di “Saper ascoltare, saper comunicare” (2005, Roma, Il Pensiero Scientifico Editore), firmata da Guido Tuveri, curatore del libro, che lui stesso definisce “una piccola guida alla riflessione sugli aspetti psicologici del rapporto medico-paziente e sull’arte di comunicare”. Personalmente condivido il pensiero della comunicazione come un’arte. Per comunicare è infatti necessario interagire pienamente con l’altro mettendosi in relazione con mente e corpo e mostrandosi flessibili, aperti e accoglienti. Sono inoltre indispensabili intuizione, presenza e partecipazione, ma non solo… Quando ci si muove nella relazione professionale medico-paziente, dove i ruoli sono differenziati e il centro dell’intervento è la persona che chiede aiuto, la comunicazione richiede accoglienza, ascolto, capacità di empatia, consapevolezza e sospensione del giudizio e dell’interpretazione. E in questo processo deve essere chiaro “a chi” si comunica (“chi” è l’altro e “chi” è che comunica), “cosa” (il contenuto della comunicazione), “come” (modalità dello scambio comunicativo), “quando” (relativamente ai tempi della persona o del medico) e “dove” (in quale setting). Dire la verità Nella lettura del volume “Saper ascoltare, saper comunicare” emerge chiaramente il valore della comunicazione – quale contatto con l’umanità del prossimo – arricchito dalla professionalità. Ed è proprio nella comunicazione delle verità che l’umanità può e deve essere affiancata dalla professionalità. “La verità è come fare un salasso al cuore” si legge nell’introduzione, che traspira umanità, dello scrittore triestino Claudio Magris, dove egli riporta una frase del gesuita barocco spagnolo Gracian: “Il salasso fatto con precipitazione e impeto dissennato, bench generoso, può colpire l’aorta e uccidere il paziente”. Umanità e professionalità di un medico si esprimono nel modo in cui viene detta la verità, nell’attenzione alla persona alla quale si sta dicendo una verità difficile e nell’ascolto dell’altro nel “qui ed ora” della sua esistenza, di ciò che in quel momento può riuscire ad accettare. Professionalità vuol dire sapere collocare la verità con chiarezza e con estrema sensibilità nel quadro generale della situazione, mettendo in evidenza tutte le possibilità delicatamente, quasi in punta di piedi, e con partecipazione empatica. Imparare a comunicare Per comunicare al malato le verità sulla sua condizione è fondamentale trovare i modi migliori, nel rispetto delle esigenze e della complessità della singola persona che deve essere vista nella sua totalità psico-fisica. Ma, come sottolinea Guido Tuveri, la modalità di comunicazione non si può improvvisare. Le buone maniere, il buon senso, il buon cuore e l’esperienza pratica non sono sufficienti per apprendere una buona comunicazione. Come prima cosa il medico deve fermarsi a riflettere sulla propria pratica clinica per mettere a fuoco le proprie competenze comunicative, e per diventare consapevole del proprio modo di comunicare e delle difficoltà incontrate nel rapporto con il paziente e con i suoi familiari. Difficoltà che possono causare stress e, a lungo andare, influire negativamente sulla qualità della vita personale e professionale. L’abilità comunicativa deve essere appresa attraverso un preciso percorso formativo che, come primo passo, richiede una diversa impostazione del rapporto medico-paziente. Il modello teorico tradizionale è infatti quello biomedico, centrato sulla malattia e su un approccio comunicativo di tipo direttivo e paternalistico (top-down), che però andrebbe sostituito dal modello biopsicosociale di tipo partecipativo, centrato sulla persona, sulle sue risorse e sulla valorizzazione dello scambio interattivo tra i soggetti coinvolti nel processo comunicativo. Il percorso formativo deve inoltre prevedere un approfondimento degli elementi teorici: comunicazione verbale e non verbale, nonch apprendimento/perfezionamento del metodo e delle tecniche per relazionarsi con sicurezza e flessibilità nel colloquio clinico. Risulta pertanto essenziale la conoscenza dei passaggi fondamentali del colloquio e l’applicazione operativa delle abilità relazionali e delle tecniche comunicative. Anche la valutazione e la valorizzazione della psicologia della persona malata di tumore è senz’altro importante per riuscire a comprendere meglio gli ostacoli comunicativi del singolo e le possibili reazioni alla comunicazione della diagnosi, oltre all’influenza del contesto e al confronto con la propria identità. Il libro Tutti questi aspetti, che devono senz’altro entrare a far parte di un percorso formativo sulle competenze comunicative e relazionali, vengono sviscerati nell’agile volume “Saper ascoltare, saper comunicare“. Il linguaggio è semplice e chiaro, anche nell’esposizione di concetti più complessi, e corredato da schemi e tabelle molto utili. Leggendo il testo si respira una sorta di “partecipazione” e si ha la convinzione che la formazione sia una scelta sicuramente proficua, dai numerosi vantaggi, tra cui un migliore rapporto non solo con il paziente ma anche con se stessi e con i colleghi, e un buon clima lavorativo che garantisce una migliore qualità della vita sia per il singolo operatore sia per la singola persona malata che viene ascoltata e aiutata a vivere nonostante tutto… Il senso dell’umanità viene esaltato nelle pagine introduttive di Claudio Magris che mi hanno profondamente emozionata. Le parole dello scrittore triestino trasmettono in modo toccante la sofferenza e la vitalità che hanno segnato passo dopo passo la sua esperienza personale con la malattia oncologica che aveva colpito la moglie Marisa: “Attacchi del tumore che erano molto pesanti ma poi sembravano sconfitti, ed erano seguiti da lunghi periodi di salute e vitalità”. In quegli anni, racconta Claudio Magris, c’è stata la paura, la tristezza, ma anche il gusto per la vita, l’interesse per i fatti personali e collettivi degli altri, la passione per il mare, i piaceri, i rapporti amorosi.
13 luglio 2005 |