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Attendere chi, attendere cosa? Dove?

Il libro di Carlo Rinaldo Tomassini tratta di “attesa”, o, per dirla in termini più consueti, di “liste di attesa”. Ora le liste di attesa sono presenti dappertutto: sono fisiche, virtuali, orali, scritte sulle agende, informatizzate… Vado alla posta o in banca e un numero mi colloca in una lista – o in una sottolista – di attesa. Attendo l’autobus alla fermata e un display mi indica i minuti previsti di arrivo per le varie linee. Telefono per un’informazione o un reclamo e una voce registrata mi comunica che sono il sesto in attesa, consigliandomi di “non perdere la priorità acquisita”. Sono al pronto soccorso e, talvolta, uno schermo mi informa su quanti sono i pazienti in attesa, suddivisi per codice di priorità.

Un tempo non esistevano le liste di attesa. Esistevano le sale di attesa, più o meno affollate: attesa del treno o attesa che la signorina ti chiamasse per prendere posto nello studio del dentista. Eppure non c’era la lista di attesa, niente numerini, semplicemente la coda allo sportello. Le cose sono – o dovrebbero essere – migliorate. Probabilmente sì, in molti casi ci si capisce di più; si sa, generalmente a posteriori, come stanno andando le cose.

Ma l’attesa genera sempre apprensione, specie un’attesa per qualche cosa che riguarda la propria salute. E le attese punteggiano il percorso di cura. Talora necessarie: una pausa di riposo, di riflessione, una sosta prima di riprendere il cammino. Spesso inutili. Talvolta dannose. Ma non tutte le pause sono eguali, non tutte le tipologie di attesa sono diffuse e generalizzate perché riguardano momenti differenziati e particolari del percorso di cura. Inoltre non tutte sono identiche rispetto alla metodologia con cui affrontare il problema e al significato che assumono. Pertanto, prima di circoscrivere il tema a quanto trattato in questo testo, che si basa su un’esperienza reale, portata avanti per anni nella realtà di un’Azienda sanitaria, diamo un’occhiata a dove e – se la disponibilità di dati lo consente – a quanto si attende.

Dove si attende

Si attende per un appuntamento con il medico curante: non è un problema rilevante come “sentimento” perché se non si trova, se siamo alla vigilia di una festa, di sabato, o in periodo festivo durante il quale il medico di base, il così “siglato” MMG, non è disponibile (poiché non è “in servizio”), si va al Pronto soccorso!

Il problema dell’attesa o della non reperibilità del medico di base non emerge con frequenza nelle indagini del Tribunale per i diritti del malato e di Cittadinanzattiva; le segnalazioni, le rimostranze più frequenti riguardano invece il fatto che i pazienti si vedono negare una visita a domicilio e pertanto l’utente si trova nella necessità di ricorrere (spesso controvoglia nelle ore notturne) alla guardia medica o rimedia andando, appunto, al Pronto soccorso. Il problema dell’attesa di una visita dal curante è invece più sentito e valutato in altri Paesi e le statistiche ci indicano che vi sono differenze notevoli da Paese a Paese. Ad esempio in Olanda il 47,5% delle persone sono visitate nello stesso giorno in cui contattano il curante, in Inghilterra il 39,7%, in Svezia il 31,6%, in Norvegia il 29,2, in Germania il 24,5% e in Francia solo il 22,7% [1]. Pare, dando un’occhiata a questa rilevazione, che i sistemi sanitari tipo Beveridge siano più responsivi rispetto ai sistemi, seppure universalistici, basati sull’assicurazione obbligatoria.

Si attende al Pronto soccorso. Il problema in Italia ha una certa rilevanza anche se la situazione pare, per alcuni aspetti, in miglioramento. Il sovraffollamento al Pronto soccorso è fenomeno frequente che ha varie motivazioni, organizzative e per le, talora insufficienti, risorse disponibili. Vi è tuttavia, a monte, il problema di un utilizzo improprio per l’inadeguatezza o inefficienza dei servizi territoriali. Le inchieste evidenziano infatti che una quota sostanziale delle persone che si presentano al Pronto soccorso, fino al 40%, sceglie tale percorso perché il medico curante non è disponibile, perché non sa a chi rivolgersi, perché i servizi specialistici non hanno dato una risposta adeguata o per svolgere più velocemente un accertamento [2]. “Sono le lunghe attese al Pronto soccorso il problema principale della rete emergenza-urgenza” riporta una recente indagine, che registra tale risposta nel 44,4% degli intervistati nel 2017, in aumento rispetto all’anno precedente (40,5%) [3].

L’attesa, a cui fanno riferimento i cittadini, non è al triage, ma subito dopo, in assenza, in molti casi, di qualsiasi informazione. Infatti i monitor che indicano i tempi di attesa, in termini quantomeno di persone in visita (e che li accorciano psicologicamente, come accade anche alle fermate degli autobus!) sono presenti in Nord Italia nel 62% dei DEA di I livello e solo nel 44% in quelli di II livello. Al Centro nel 48% dei DEA di I livello, ma quelli di II livello ne sono tutti forniti: il 100%. Al Sud solo il 31% dei DEA di I livello hanno tale “elementare presidio” e la percentuale scende al 24% nei DEA di II livello.

Si attende ovviamente il primo accertamento, da soli o in compagnia di un amico o un familiare. I tempi medi variano in relazione alla tipologia di servizio e, ovviamente, al codice, con le medie riportate nella tabella 1 [4]. Si tratta di tempi medi con punte tuttavia elevate che per i codici verdi oscillano, nelle situazioni “peggiori” fra i 116 e i 300 minuti (cioè 5 ore), sollevando proteste che i mass media spesso riportano e generalizzano.


TABELLA 1 – TEMPI MEDI DI ATTESA AI PRONTO SOCCORSO IN ITALIA, PER CODICE (ANNO 2016)

Codice Pronto soccorso Dea I livello Dea II livello
Bianchi 98 77 71
Verdi 73 70 59
Gialli 23 30 22

Dopo il Pronto soccorso il problema dell’attesa si può avere sia per accertamenti prescritti alla dimissione, questione rilevata dal 24% dei pazienti intervistati, ma anche per un intervento previsto come “tempo dipendente” nel percorso di ricovero. Per questo parametro, rilevante in termini di qualità, cioè di salute, vi sono stati discreti miglioramenti. Ad esempio per una frattura del femore lo standard è un intervento entro le 48 ore dall’evento. Dal 2009 al 2016 la percentuale di raggiungimento di questo obiettivo è quasi raddoppiata e si attesta attualmente al 60%, come evidenziato nella figura 1 [5].


FIGURA 1. FRATTURA DEL COLLO DEL FEMORE: INTERVENTO CHIRURGICO ENTRO 48 ORE DALL’EVENTO (ITALIA, ANNI 2009-2016).

Le medie qui raffigurate sono il risultato di notevoli variabilità intra e interregionali, con valori per struttura ospedaliera che variano dal 3% al 97% e con tutte le Regioni del Sud Italia (esclusa la Sicilia) con medie al di sotto di quella italiana.

Un altro momento di attesa (il termine “momento” è, tuttavia, del tutto improprio!) è per un intervento programmato; un’operazione consigliata prima, prescritta poi (ed eventualmente da tempo procrastinata) che va effettuata in ricovero ordinario o in day surgery. Anche in questo caso l’attesa, seppure del tutto esterna – ovviamente – all’ospedale, può essere lunga, anche se i dati raccolti fra inchieste e rilevazioni amministrative sono un po’ difformi. La già citata indagine di Cittadinanzattiva riporta un’attesa media per intervento chirurgico, riferita all’anno 2017 di 15 mesi per cataratta, di 10 mesi per protesi dell’anca, di 9 mesi per tunnel carpale e di 7 mesi per protesi del ginocchio [6].

Il Rapporto indica anche alcuni casi estremi in senso positivo e negativo, con variazioni regionali che non rispettano molto l’abituale variazione Nord-Sud. Solo a titolo esemplificativo per il tumore alla mammella i tempi migliori si registrano nella provincia autonoma di Bolzano (16 giorni) mentre i tempi più lunghi sono in Valle d’Aosta (52 giorni). Per il tumore all’utero i tempi d’attesa variano tra gli 11 giorni nella provincia autonoma di Bolzano e i 34 del Lazio. Per l’accesso alle chemioterapie punte significative di attese si hanno in Umbria dove si attendono anche 20 giorni. Nella provincia autonoma di Trento al contrario si registrano i tempi più bassi: 4,5 giorni di attesa. Per un intervento di ernia inguinale i tempi più lunghi si registrano in Valle d’Aosta con 156 giorni d’attesa mentre i più bassi sono sia in Sicilia (31 giorni) che nella provincia autonoma di Bolzano. Per l’accesso alla coronarografia i tempi più lunghi li troviamo invece proprio a Bolzano (44 giorni) e Piemonte (39 giorni) a fronte dei 9 giorni in Abruzzo e 10 in Puglia! Per alcuni interventi (protesi dell’anca, cataratta) il confronto fra vari Paesi, pubblicato dall’OECD, ci colloca in una posizione buona, fra le nazioni ormai “virtuose”, come evidenziato in figura 2 [7].


FIGURA 2. TEMPI DI ATTESA PER INTERVENTI DI PROTESI DELL’ANCA (A) E DI CATARATTA (B) IN ITALIA E IN ALCUNI PAESI EUROPEI (ANNO 2016)

Si attende infine in ospedale: per essere trasferiti in un altro reparto; per un accertamento durante la degenza; per le dimissioni perché manca qualche cosa: un esame? Una firma? Un documento? Forse anche lì esiste una lista di attesa, invisibile e sempre cangiante nella testa del radiologo, che deve dare la precedenza a un paziente proveniente dal Pronto soccorso, o nella mente del medico del reparto che deve rintracciare e visionare un ulteriore risultato degli accertamenti o forse nell’anima del computer, che nasconde, nelle pieghe di un apposito programma, le disponibilità della residenza sanitaria nella quale devo essere trasferito per un ciclo di riabilitazione. Ma queste non sono liste di attesa, sono in realtà “waste” nel percorso di cura, sprechi, intoppi, che devono essere superati per rendere fluido il percorso del paziente e su cui si sono messe a punto, in analogia con quanto realizzato nei processi industriali, apposite metodologie organizzative, sviluppando metodi Lean finalizzati, appunto, a ridurre gli sprechi.

Vi sono poi le liste di attesa vere e proprie, cioè quella barriera temporale – ottimale, breve, lunga o lunghissima – che riguarda la totalità dei cittadini che devono ricevere una visita specialistica o un accertamento diagnostico. Quello che è diventato un problema diffuso e percepito come ostacolo che molti utenti, moltissimi, hanno sperimentato e che rischia di minare la credibilità e la fiducia nel nostro sistema sanitario.

È questo il tema in cui ci siamo cimentati in questi anni dando una risposta che questo testo intende illustrare.

[Testo estratto dall’Introduzione di Marco Geddes da Filicaia al libro Liste di attesa in sanità, di Carlo Rinaldo Tomassini]


Bibliografia

  1. Commonwealth Fund Survey 2016.
  2. SIMEU. Cittadinanzattiva. Lo stato di salute dei pronto soccorso italiani. Il monitoraggio dei servizi di emergenza.
  3. Cittadinanzattiva. XXI Rapporto PIT salute. Tra attese e costi, il futuro della salute in gioco, 2018.
  4. SIMEU. Cittadinanzattiva. Lo stato di salute dei pronto soccorso italiani (cit) p. 38.
  5. Agenas. Programma nazionale esiti, edizione 2017.
  6. Cittadinanzattiva. XXI Rapporto PIT salute. Tra attese e costi, il futuro della salute in gioco (cit).
  7. OECD. Health at a Glance. Europe 2018. State of Health in the EU Cycle, 2018.

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