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È stato più grande Bach o Picasso?

 
Quantificare in modo accurato e oggettivo l’opera intellettuale dell’uomo a fine valutativo rappresenta un compito impossibile e un obiettivo probabilmente perverso. È stato più grande Bach o Picasso? Chi ha avuto il miglior rendimento tra Hegel, Isaac Newton e il Vasari? Certo, quanto più ci muoviamo dalle arti alle discipline umanistiche ed alle scienze esatte, tanto più è legittimo immaginare di stilare una graduatoria della produzione di ciascun cultore, pur con le inevitabili limitazioni del voler ricondurre a paradigma le infinite variabili del pensiero applicato. Se poi ci poniamo l’obiettivo, doveroso in ambito accademico, di condizionare le carriere accademiche e i finanziamenti della ricerca alla produzione scientifica individuale, è chiaro che una valutazione anche quantitativa di tale produzione diviene un’esigenza.

Per questo, che la si ami o la si odi, l’analisi bibliometrica è tra noi per restare. La profonda verità insita nel “publish or perish”, per quanto contorta e generatrice di comportamenti anomali, spesso anti-scientifici, è ormai un motore primario della produzione scientifica; se non dei suoi contenuti, sicuramente delle sue modalità di espressione, delle scelte editoriali e delle sue forzature.

Dall’introduzione del discusso impact factor negli anni ’50 (che tuttora, criticatissimo, sopravvive e logora chi non ce l’ha), molta strada è stata fatta. La ricerca di nuovi strumenti bibliometrici ha portato ad un proliferare di indici e parametri, di banche dati e reti, e perfino di una nuova scienza battezzata “journalology”. Una scienza che si occupa di definire i vari aspetti dell’analisi bibliometrica, di individuare indici sempre più obbiettivi ed equi, di evidenziare i limiti di tali indici e di proporne di nuovi.

Per chi volesse addentrarsi in questo mondo, spesso solo lambito da chi opera in campo biomedico, il compatto ma esauriente manuale di Ombretta Perfetti Impact factor, h-index e la valutazione della ricerca rappresenta un validissimo tutor. Nella serie di schede che si succedono, il lettore ha finalmente il modo di sistematizzare i numerosi indicatori che ha solo sentito nominare, in un quadro organico che rende giustizia alla complessità della materia. Partendo dall’analisi epidemiologica dell’editoria scientifica e dalla storia della nascita della bibliometria, il testo affronta in modo critico ciascuno degli strumenti che si sono affermati nell’uso più o meno comune, dal già citato impact factor al più recente h-index. Per ognuno vengono sottolineati pregi e difetti, nonch le possibili manipolazioni pro domo sua da parte dei singoli ricercatori o di editor senza scrupoli. Così impariamo che l’impact factor è il miglior giudice della bontà di una rivista, e non della produzione individuale di chi vi pubblica; che il peso specifico di un curriculum scientifico si misura, oltre che dal numero di citazioni, dall’emivita dei singoli lavori pubblicati, dal potenziale editoriale della disciplina in cui si opera, dal numero degli autori per articolo e dalla normalizzazione delle citazioni per l’età accademica. Last but not least, il manuale fornisce una rassegna delle nuove opportunità offerte dal web al servizio della valutazione bibliometrica; dai più tradizionali database citazionali (PubMed, Scopus, etc.) fino ai più recenti strumenti come la Webmetrica e le applicazioni del social web.

Che la materia resti complessa ed intricata, non vi sono dubbi. Il sofferto ruolo dell’Agenzia di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR) in occasione della abilitazione scientifica nazionale tuttora in corso n è un esempio estremamente calzante ed attuale; si vedano a questo proposito i numerosi contributi sul sito del Return on Academic Research. Troppo mutevole e variegato il quid che si vuole giudicare, troppo diverse le discipline che si è cercato di sottoporre allo stesso tipo di vaglio, troppo facile pensare ad inganni ed imperfezioni anche per il metro di valutazione più stringente. Eppure è evidente che si tratta di una strada senza ritorno. La scienza del merito è ormai indispensabile per capire il merito della scienza: dobbiamo tutti cominciare, se non ad amarla, almeno a capirla meglio.

2 ottobre 2013

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