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Guarire insieme
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Eugenio Santoro (Dipartimento di Epidemiologia Istituto di Ricerche Farmacologiche "Mario Negri"), pubblicato il 12.04.2009 sul Corriere della sera |
![]() Il grande vantaggio offerto dalle applicazioni web 2.0 è di riuscire ad aggregare pazienti, anche geograficamente molto distanti, che soffrono delle stesse malattie i quali possono così scambiarsi opinioni, raccontare la propria storia, confrontarsi con altri malati, ottenere informazioni sulle malattie di cui soffrono e sui trattamenti in atto. Ciò può avere numerosi vantaggi dal punto di vista psicologico. Ne sono una riprova famosi blog come DiabetesMine e CarePages, che negli Stati Uniti consentono a pazienti diabetici, a quelli oncologici e a quelli sofferenti di malattie croniche di riempire quei vuoti che una strutturar ospedaliera o sanitaria riesce difficilmente a colmare. Ma vantaggi si possono ottenere, in certi casi, anche dal punto di vista clinico, laddove la malattia che accomuna i pazienti è di quelle rare o poco conosciute, per le quali esistono poche possibilità terapeutiche. L’esempio più noto è il social network PatientsLikeMe, che negli Stati Uniti ospita diverse comunità di pazienti che soffrono di malattie neurologiche particolarmente invalidanti (tra cui una che aggrega oltre 3200 pazienti affetti da Sindrome Laterale Amiotrofica), i quali, grazie a questa opportunità, possono-scambiarsi informazioni. Anche le associazioni di pazienti hanno trovato nei social network un nuovo modello di collaborazione tra i propri iscritti. Ne è un esempio Inspire, la più grande comunità di pazienti, la quale conta, a oggi, oltre 100.000 individui appartenenti alle più note associazioni operanti negli Stati Uniti. La, condivisione di informazioni e pareri non è solo una prerogativa di blog e social network promossi dai cittadini. Lo testimonia l’esperienza di NHS – Choices, il portale sviluppato dal servizio sanitario inglese attraverso il quale qualunque cittadino britannico può esprimere giudizi sugli ospedali dove è stato curato. I giudizi, insieme agli indicatori di "performance" di ciascun ospedale resi disponibili dal Ministero della Salute britannico, possono così contribuire a creare un giudizio "mediato" sul quale il cittadino potrà poi basare la propria scelta. Occorre tuttavia segnalare che l’uso degli strumenti del web 2.0 può introdurre dei rischi quando sono applicati al mondo sanitario. Soprattutto in termini di affidabilità dei loro contenuti (a questo proposito occorre ricordare che lo staff di Wikipedia consiglia di confrontare le voci della nota enciclopedia collaborativa con altre fonti, quando gli argomenti riguardano la salute) e di riservatezza dei dati sanitari personali che non sempre sono adeguatamente protetti. In Italia, purtroppo, non esistono risposte al bisogno crescente di partecipazione da parte dei cittadini in tema di salute e malattia che siano basate sul web 2.0. A parte alcune esperienze come MyOpenCare, che a dispetto del nome inglese è una iniziativa tutta italiana, il problema è poco sentito, soprattutto dalle istituzioni i cui siti web sono ancora ancorati alla concezione del web tradizionale, nel quale staticità, unidirezionalità del flusso informativo e assenza di dibattito tra gli utenti regnano sovrane. 15 aprile 2009 |