In primo piano

I ragazzi di Lorenzo

Giovani che non hanno paura di vivere
Cop_Io dopoNon hanno più paura di niente. E hanno passato una storia che insegna, a tutti noi cosa significa vivere. Per questo, come recita la copertina di Io… dopo, il professor Lorenzo Spaggiari e i suoi giovani pazienti hanno pubblicato con Il Pensiero Scientifico Editore la loro esperienza con il cancro. Nella prefazione, Umberto Veronesi li descrive come “uno spaccato della straordinaria generazione di ragazzi che abbiamo la fortuna di avere accanto a noi in quest’epoca. Quando cadono nelle reti delle dipendenze o nell’indolenza, o nella violenza, è quasi sempre perché non hanno un’alternativa alla solitudine e al disagio della crescita. I ragazzi di Lorenzo sono stati catapultati nell’età adulta attraverso un trauma fortissimo: una diagnosi di cancro, eppure ci mostrano il meglio di questa nuova generazione”.

Padre di due figli, Cecilia e Federico, cui è dedicato il libro, Lorenzo Spaggiari è professore associato all’Università di Milano e direttore di Chirurgia toracica all’Istituto europeo di Oncologia fondato da Veronesi. “Proprio il contrasto tra la mia realtà familiare e quella di genitori e bimbi che lottano contro il cancro – spiega – mi ha spinto a lanciare un messaggio a malati e non: ragazzi, approfittate della vita che avete, non drogatevi, non esagerate, impegnatevi!”.

Spaggiari, originario di Reggio Emilia, dirige una divisione che cura il cancro soprattutto negli over 60. Ma avendo lavorato prima a Parigi si è occupato molto di bambini e ha voluto continuare a Milano. Le storie che racconta, come quelle in questa pagina, sono vite di ragazzi non sempre a lieto fine che si trovano ricoverati in camere vicine e, come dicono le infermiere, sembrano i nostri fratelli minori. “Stimolano dentro un senso di ingiustizia. Un giovane col cancro dispiace di più”, rivela Spaggiari. “La probabilità negli under 18 è bassissima. Non c’è perché, una causa genetica probabilmente, ma non si sa, è sfortuna. Però più è piccolo e più c’è possibilità di guarire, dunque conta la diagnosi precoce. Ma spesso i sintomi son lievi o vengono trascurati e le forme nei giovani rare e aggressive. Anche il tasso di recidiva è legato ai tempi della diagnosi iniziale”.

In ogni caso, bisogna essere ottimisti perché a volte si può guarire. “Dieci anni fa – ricorda Spaggiari – le diagnosi erano tardive, gli interventi aggressivi e debilitanti, venivano amputati arti. Oggi ci sono tecniche mininvasive e si può tornare a una vita normale. La letteratura è piena di racconti simili dei grandi, ma di giovani curati nello stesso posto non si era mai scritto”.

Compagni di strada
Eugenio: così sono tornato all’agonismo

Tra scuola, sport e amici, durante il giorno la mamma lo vede solo per pranzo. Eugenio Dal Buono, quasi diciottenne, quarto anno di liceo scientifico a Roma, è appena diventato agonista: “Una volta guarito dalla malattia ho ripreso una vita normale. Ho ricominciato a giocare a calcio e sono appena tornato da una settimana bianca”.
Lo dice compiaciuto di avere una buona salute. “Sì, perché è una questione sottovalutata: ci si abbandona spesso a comportamenti che la rovinano, invece è importante proprio la normalità”. A 16 anni lui si è ammalato di cancro, lo hanno operato due giorni prima del suo diciassettesimo compleanno. “Grazie al professor Spaggiari di Milano e all’Ospedale Bambino Gesù di Roma, dove ci sono ragazzi come me, ho capito che le cure sono lunghe e dolorose ma possono riportare alla vita normale”.
Anche con qualche novità: “Prima mi interessavo solo di pallone e dedicavo poco tempo a famiglia e altro. Ora so cosa vuol dire il dolore. Prima non avevo mai pensato a quanto potesse essere importante l’appoggio dei miei genitori e delle mie due sorelle. Ora, in parole semplici, gli voglio più bene”.

Luca, una lotta coraggiosa fino all’ultimo

La storia di Luca Cecarini è una delle più commoventi. Non per la sua morte imprevista, pochi giorni fa, dopo la nostra intervista. Quanto per la vita. Milanese, 20 anni, ha perso la mamma a 13 per un tumore. A 18 ha scoperto di averne uno anche lui, diverso, al ginocchio. Dopo una protesi ha subito quattro interventi ai polmoni per metastasi.
Nonostante questo fino all’ultimo non ha rinunciato a nuotare, giocare a calcio e pronunciare frasi come: “Essere in un contesto amorevole mi fa sentire un ragazzo fortunato. La storia di mia mamma mi ha colpito molto e forse mi ha fatto diventare uomo prima. Poi ho un superpapà che fa l’imprenditore nel settore del vetro e mi segue in tutto. Oltre ai medici, c’è lo zio Mauro, mia sorella col marito e anche gli amici che mi sostengono su Facebook. Non mi faccio prendere né dall’ottimismo né dal pessimismo. Da due anni sono tartassato da interventi e cure, a scuola ho dovuto interrompere, i controlli sono troppo vicini, ma appena posso vado a trovare mio fratello a Londra e mia sorella a Aix en Pròvence”.

26 marzo 2013

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