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In un’ottica di genere

 
 
copertina del libro Ricerca e praticaPerchè parlare di ricerca di genere in una rivista indipendente come R&P?

La parola “genere”, anche vicino ad un termine come ricerca, non identifica solo una popolazione o un sottogruppo oggetto di interesse, ma riconosce piuttosto un atteggiamento mentale, una ricchezza trasversale che qualifica i contenuti prodotti dai nostri pensieri e dalle nostre azioni. Non è sufficiente dunque essere una rivista indipendente, e neppure essere Ricerca & Pratica, per possedere naturalmente queste prerogative. È necessario coltivarle, anche attraverso una riflessione interna e un’offerta di spazi dove queste idee, queste informazioni, questi fatti possano manifestarsi, incontrarsi, dialogare e trasformarsi in occasioni e opportunità.

Non si fa abbastanza ricerca di genere o non se ne parla abbastanza?

Probabilmente queste domande sono entrambe legittime. Il dibattito scientifico che ha caratterizzato negli ultimi anni anche il nostro Paese, soprattutto a partire dal settore della farmacologia clinica, rivendicando la necessità di pensare anche a una specificità di genere nella conduzione di ricerche cliniche e nella produzione del sapere, mostra chiaramente come la strada verso il mutuo riconoscimento tra i generi non sia proprio dietro l’angolo. Per troppo tempo la medicina ha studiato e sperimentato senza tenere conto delle differenze di genere, facendo riferimento ad un “neutro universale” rappresentato dal genere maschile: è quello che gli anglosassoni chiamano gender bias. Nel tempo questa discriminazione si è tradotta in svantaggi, clinicamente quantificabili ad esempio in termini di effetti collaterali. È importante, quindi, che anche all’interno del sapere scientifico, nell’ambito della ricerca clinica, cresca e si sviluppi un pensiero che consideri anche il genere femminile meritevole di essere osservato e indagato. L’obiettivo di un’attenzione dedicata e indipendente al femminile è fare in modo che donne e uomini siano inclusi in egual misura negli studi clinici, per evitare che i possibili effetti negativi sull’organismo femminile siano sottovalutati. È probabile che ancora oggi di questi temi non si parli abbastanza, ma forse preoccupa ancora di più quando se ne parla troppo, e in un modo poco convincente, che apparentemente sembra colmare questa trascuratezza di genere: improvvisamente le donne diventano protagoniste indiscusse di indagini e siti che si occupano generosamente di pezzi importanti della loro salute, o meglio di alcune loro disfunzioni, o meglio ancora del loro trattamento.

Come è nata l’idea di uno spazio dove sviluppare contenuti di genere familiari alla ricerca?

Le differenze di genere – per la maggior parte delle donne – non sono un concetto astratto, ma una realtà tangibile che accompagna la loro vita, compreso il lavoro, di qualunque natura esso sia, e impregna con la sua presenza le relazioni quotidiane.
Non è stato difficile allora, nel momento in cui ci è stata offerta l’opportunità di curare questa rubrica, riconoscersi come ricercatrici e cliniche naturalmente vicine a questi temi, disponibili ad affrontare questioni di ricerca con una sensibilità di genere, dall’utilizzo dei farmaci in gravidanza, all’health-survival paradox, all’essere primario donna in un reparto di oncologia, al valutare i risultati dei trial sull’efficacia e la sicurezza dei farmaci negli eventi cardiovascolari.

Qual è lo spirito della rubrica?  

Come ho ricordato nell’Editoriale che introduce la rubrica, questo spazio vuole tradursi in un punto d’incontro di competenze professionali diverse ma in relazione tra loro: dalla ginecologia alla metodologia della ricerca quantitativa e qualitativa, dalla farmacologia alle discipline umanistiche. Un’ottica di genere che legge dentro a queste parole significati diversi: la donna oggetto di quale attenzione nei protocolli di ricerca? Che cosa significa produrre ricerca gender sensitive? Come possiamo migliorare l’attenzione ai contenuti di genere nella produzione scientifica? Ma anche: vita dura oggi e sempre per le donne ricercatrici? Che cosa pensano le giovani donne che iniziano percorsi di formazione e ricerca, intorno a questi temi?
Avendo ben presente che l’importante è parlarsi, guidate da un forte desiderio di intendersi, tra discipline, tra generazioni e generi, tra ricerca e pratica.

Da chi viene curata?

Le donne che si sono impegnate a curare questo nuovo spazio della rivista dedicato alla ricerca di genere, si occupano, a vario titolo, di assistenza, formazione e ricerca, e operano nell’area veronese, per lo più presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata e l’Università di Verona.
Le differenze di genere identificano un tema articolato e complesso, di cui si occupano da tempo con rigore e competenza alcuni gruppi di ricerca anche nel nostro paese. Verona ha visto nascere nei primi anni ’80, e rafforzarsi nel tempo, esperienze come la comunità filosofica femminile Diotima. Il lavoro di ricerca affrontato dalla comunità in quegli anni, ha dato vita al “pensiero della differenza sessuale”. Attualmente la Regione Veneto è partner del progetto europeo Inventory of good practices in Europe for promoting gender equity in health – ENGENDER, che ha l’obiettivo di contribuire all’informazione e alla conoscenza di base sulle politiche e i programmi che in Europa promuovono l’equità di genere nel campo della salute, utilizzando le linee guida sviluppate dal Women and Gender Equity Knowledge Network della Commissione sui Determinanti Sociali della Salute dell’OMS.
Una condizione favorevole, nella quale si sviluppa il nostro piccolo contributo in termini di revisione gender sensitive delle principali riviste scientifiche e dei siti web, insieme alla produzione di pillole di metodologia connotate al femminile, e al commento puntuale di documenti, report, articoli scientifici di rilievo, anche grazie all’offerta di queste pagine alle opinioni di esperte esterne al gruppo.

 

9 giugno 2010

"Che genere di ricerca" è una rubrica di Ricerca & Pratica a cura di Renata Bortolus (coordinamento), Giulia Bisoffi, Anita Conforti, Francesca Filippini, Simonetta Friso, Cristina Oliani, Nadia Oprandi.

Nel primo numero (PDF: 88 Kb):

– Editoriale
– Taglio cesareo: una pratica sfuggita di mano?
– L’health-survival paradox: bias di selezione e di informazione?

Renata Bortolus, ginecologa, lavora presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona e collabora con l’Alessandra Lisi International Centre on Birth Defects – ICBD di Roma, WHO Collaborating Centre, in progetti di ricerca per l’area materno-infantile.

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