Nell’elenco delle preferenze che vengono presentate come opzioni ideali di una morte à la carte non si trova mai menzionato la morte graziosa”, scrive Sandro Spinsanti nel suo ultimo libro Morire in braccio delle Grazie. L’accostamento suono provocatorio eppure un legame c’è tra la morte e le grazie.
Spesso, oggi, sono le decisioni mediche a determinare il tempo e il modo di morire. Davanti a questa possibilità della medicina di guidare il fine vita le preferenze personali dei pazienti sono diverse. Alcuni ricorrono ogni cura possibile e disponibile, per giocare tutte le carte nel tentativo di dare scacco alla morte: vogliono prolungare la partita il più a lungo possibile pur consapevoli che la perderanno. Altri non vogliono guardare in faccia la morte… Altri ancora consapevoli che la fine è ormai prossima scelgono di percorrere l’ultimo tratto di strada a casa e non in un letto d’ospedale o di accelerare la parabola della fine.
La scelta – auspicabilmente condivisa – di come vivere l’ultimo tratto di strada chiama in causa il confine tra la “buona” medicina e l’accanimento terapeutico, il diritto di autodeterminazione e la terapia dolce, gli hospice e il dialogo. Il suggerimento per una “buona” morte – indolore, dignitosa, umana – e per una scelta di fine vita tagliata su misura del singolo paziente è quello di farsi guidare dai nomi delle tre Grazie della mitologia greca: Eufrosine, la saggezza; Aglaia, la serenità; Talia, la pienezza.