Disegnare marchio e logotipo di un prodotto editoriale (libro o rivista): da dove iniziare?
Da una piacevole e informale chiacchierata. Un’occasione conviviale è il mio punto di partenza preferito, ma non tutti hanno il privilegio, l’occasione e la determinazione, di associare piacere e lavoro. La traduzione visiva della parola scritta nasce da questo racconto/confronto, più è ricco e sfaccettato minore è il rischio di un lost in translation o, peggio, di un misunderstanding. Alla fase letteraria segue quella “economica”, è il momento del benchmarking; in realtà già ha avuto inizio, insieme con l’editore e/o il redattore, ma ora diventa più ampio e sistematico. Il web facilita enormemente la ricerca. Il suo limite, semmai, è l’eccesso di dati; il troppo stroppia, si sa, e diventa comodo alibi all’horror vacui che spesso prende quando si va a incominciare; ma l’editore non aspetta in eterno e basta una breve telefonata per far superare l’empasse.
Nel caso di PEQuOD, qual è stata l’ispirazione?
Più che di un’ispirazione parlerei in questo caso di un ispiratore, l’editore. La fase “letteraria” era già stata percorsa dall’editore insieme con il curatore della collana, a me il compito di proseguire in quella “economica” e poi in quella più strettamente artistica. La trasposizione del significante grafico non è di poco conto, la balena al posto della baleniera, immagine vs concetto… e anche questa volta la società dell’immagine ha avuto la meglio.
Trasposizione non da poco. Per quale motivo?
Innanzi tutto numerico, un cetaceo s’incontra meno di frequente su pagine e copertine e la necessità di distinguersi, di creare un’identità precisa è la ragion d’essere del marchio; che sia brutto, piuttosto, ma banale no, mai, per carità. La forma della balena, poi, si presta meglio alla sintesi delle linee. Le grandi possibilità tecniche attuali hanno favorito una grafica più illustrativa (e democratica) che va oggi per la maggiore. Al contrario, io amo la scuola giapponese, sintesi della forma e sobrietà, sposata però al senso del colore dell’arte veneta; le radici le porti con te sempre e ovunque, sono nel dna. Ed ecco perché una balena può anche essere verde. Verde, colore della speranza, dell’equilibrio: più azzeccato di questo, per una collana di psichiatria… In realtà è il mio colore preferito, proprio in quella tonalità; la chiamo “verde primavera”, perché mi ricorda i germogli appena nati, la sensazione di fermento che ti prende ad ogni inizio. Dietro ogni scelta, tecnicamente ponderata e motivata a beneficio dell’editore, ci sono ragioni assai irragionevoli… Scherzi a parte, la ricerca dell’identità visiva deriva dal rapporto, sempre arbitrario, tra forma e significato, che editore e grafico propongono al lettore nella speranza di riuscire a coinvolgerlo.
26 gennaio 2011
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