In primo piano
La guarigione è mia
La guarigione è mia |
Mike Slade, psichiatra del King’s College London, autore di Personal recovery: dalla teoria alla pratica. Recensione apparsa su Va’ Pensiero n° 498. |
Che cosa si intende oggi per guarigione?
Le interpretazioni più moderne del concetto di guarigione sono diverse da quelle tradizionali. L’interpretazione tradizionale – che potremmo chiamare clinical recovery – si focalizza sull’offerta di interventi evidence based per trattare la malattia mentale. La guarigione clinica è quindi legata all’esperienza professionale, e la supposizione implicita è che una volta che la malattia viene curata o effettivamente gestita, la persona possa condurre la propria vita. L’interpretazione moderna – che potremmo chiamare personal recovery – mette in rilievo lo scopo di condurre una vita in modo soddisfacente. Questo concetto è emerso nell’ambito delle persone che hanno avuto un’esperienza diretta della malattia mentale. Per alcune persone la guarigione personale avviene completamente al di fuori del sistema della salute mentale, mentre per altre vi contribuiscono i trattamenti efficaci. A cosa dovrebbe mirare il sistema della salute mentale: alla guarigione clinica o a quella personale? Nel mio libro Personal recovery and mental illness identifico cinque ragioni per cui si dovrebbe mirare alla guarigione personale. La prima (epistemologica) è la più complessa e si correla alla natura della conoscenza. La seconda (etica) è legata al ritardo dei servizi di salute mentale rispetto ad altre aree dell’assistenza sanitaria, per un accentuato paternalismo e una scarsa promozione dell’autonomia. La terza (efficacia) è che i trattamenti sono palliativi e non curativi, quindi dovrebbero essere forniti con prudenza, procedendo per tentativi. La quarta (empowerment) è che le persone con malattia mentale dovrebbero avere gli stessi diritti di qualsiasi altro cittadino di decidere per il proprio futuro. Infine, la quinta ragione (politica) è che, almeno nel mondo anglosassone, la policy nazionale deve sposare la causa di una guarigione personale e non clinica. È dunque necessario un cambio di paradigma? Sì lo è perché i valori sottostanti un sistema orientato alla personal recovery sono differenti da quelli di un sistema orientato alla clinical recovery. Come avviene per qualsiasi cambio di paradigma alcuni punti del vecchio modello devono essere mantenuti e amplificati. Per esempio, le competenze nel mantenere le relazioni con persone marginalizzate hanno un ruolo centrale; inoltre, sviluppo, valutazione e applicazione di trattamenti evidence based continuano ad essere il principale fattore di guarigione per molte persone. Di contro, alcuni aspetti devono cambiare: il dovere etico di trattare, il focus sulla riduzione dei deficit (piuttosto che sullo sviluppo dei punti di forza) e l’assunzione che il trattamento abbia la precedenza sull’aiuto da dare alla persona per condurre un’esistenza degna di essere vissuta. Infine, il sistema della salute mentale dovrà rinnovarsi: dovrà trovare un diverso modo di relazionarsi con gli utenti dei servizi, considerandoli come partner e non come pazienti, dovrà sfruttare le intuizioni di nuove discipline accademiche (ad esempio: la ricerca del benessere, la psicologia positiva), dovrà promuovere lo sviluppo di nuovi ruoli da affiancare ai professionisti della salute mentale (ad esempio, attivisti sociali). In questo scenario si prospettano grandi sfide. Il sistema sanitario e i professionisti della salute sono pronti ad affrontarle? In parte. A livello politico, la maggior parte delle politiche nazionali sono incoerenti: si richiede al sistema di salute mentale di favorire l’empowerment delle persone e contemporaneamente di gestire il rischio. Per i professionisti della salute la principale sfida è capire in cosa consiste questo processo di trasformazione che comporta una questione difficile, ma importante, legata al potere. In un servizio di salute mentale orientato alla guarigione il potere è per la maggior parte in mano all’utente. Però non tutti gli operatori sanitari sono favorevoli a questo cambiamento. Dalla teoria alla pratica: quali sono i principali ostacoli alla trasformazione della pratica? Il potere… A livello individuale c’è una variabilità nella misura in cui i professionisti della salute mentale comprendono la questione e si schierano per l’orientamento alla guarigione. Tuttavia, se ci spostiamo al livello di gruppo, osserviamo che sono veramente pochi i gruppi (ad esempio, psichiatri, psicologi, infermieri, ecc.) disponibili a rinunciare al potere. Per tutte le categorie la sfida principale è realizzare che i loro approcci sono benefici per alcune persone e in qualche occasione, dunque non sempre e non per tutti. Una sfida equivalente riguarda gli utenti dei servizi, che devono diventare degli agenti più attivi e autori della propria vita. Ci sono anche delle barriere culturali, sociali ed economiche? Pensa che ci siano delle differenze tra il contesto britannico e quello italiano? L’Italia ha un vantaggio chiave che viene dalla esperienza delle riforme Basaglia. Questa esperienza ha creato uno spazio per una trasformazione del servizio guidata dai valori che forse risulta più difficile in un servizio sanitario centralizzato come è il NHS in Inghilterra. C’è da dire che entrambi i Paesi stanno affrontando una crisi economica che potrebbe portare a una crisi sistemica con la sensazione che le cose possono cambiare… L’esperienza internazionale ci suggerisce che una trasformazione pro-guarigione avviene quando una crisi sistemica si incontra con l’attivismo dei consumatori. Quindi, è possibile che emergano dei cambiamenti in positivo da queste difficoltà economiche se gli utenti dei servizi di salute mentale e i loro familiari e amici hanno voce in capitolo. Che cosa l’ha spinta a cambiare il suo personale approccio professionale dalla clinical recovery alla personal recovery? La mia prima esperienza nel sistema della salute mentale è stata con i miei pazienti che vivevano la loro vita nei reparti chiamati “back wards”. Erano dei reparti di ospedali psichiatrici che avevano effetti nocivi sui pazienti, a causa delle procedure di istituzionalizzazione e dei “trattamenti” talvolta brutali. Tutto ciò mi aveva portatato a pensare che le persone con malattia mentale dovrebbero avere i miei stessi diritti e le mie stesse opportunità nella vita. I “back wards” non esistono più negli ospedali inglesi ma sono rimasto turbato sentendo che i nuovi professionisti della salute mentale iniziano a dire, sia pur timidamente, che i manicomi “non erano poi così male”. Quali riscontri ha avuto? Per alcune persone, il supporto alla guarigione trasforma la loro vita. Questo mi ha sorpreso, perché sono per natura abbastanza scettico sulle affermazioni come queste, ma ho incontrato molte persone con una lunga storia di problemi di salute mentale che hanno trovato un modo per tornare a una vita degna di essere vissuta. È straordinario! Per altre persone, la loro preoccupazione è che la guarigione sia in mano al sistema della salute mentale, e perda così il suo significato. Questa mi sembra una valida critica. Con il mio gruppo di lavoro stiamo portando avanti una ricerca di alta qualità coerente con i valori che favoriscono la guarigione. I nostri approcci sono descritti in researchintorecovery.com 2 novembre 2011 |