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Le linee-guida? Un sistema complesso in evoluzione

Antonio Bonaldi (direttore scientifico della rivista Quality Assurance, Istituti Clinici di Perfezionamento di Milano) su “Linee-guida per la pratica clinica“, di Luciana Ballini e Alessandro Liberati
Negli ultimi anni è stato scritto molto sulle linee-guida, sul modo di prepararle e sui requisiti per validarle come strumento di miglioramento della qualità dell’assistenza. Oggi attraverso internet è sempre più facile accedere liberamente a svariate banche dati accreditate che presentano linee-guida aggiornate e affidabili in ogni ambito del sapere. Le linee-guida dovrebbero guidare l’agire del medico e aiutarlo ad affrontare con competenza le principali decisioni che caratterizzano la propria pratica professionale. Eppure, indipendentemente dalle risorse disponibili, una parte consistente delle cure non è allineata con tutto ciò che si conosce e molti pazienti continuano a soffrire e a morire a causa di una cattiva applicazione di conoscenze già acquisite.

Un recente studio di McGlynn, apparso nel 2003 sul New England Journal of Medicine, ci ricorda che in 12 aree metropolitane degli Stati Uniti mediamente solo il 55 per cento degli interventi sanitari si attiene a quanto raccomandato da linee-guida nazionali elaborate sulla base delle conoscenze disponibili. Esiste, quindi, un enorme divario tra l’acquisizione e la formalizzazione delle conoscenze e il loro successivo trasferimento nel contesto lavorativo.

Fino ad ora la letteratura scientifica si è soffermata soprattutto sulle procedure per eseguire una revisione sistematica della letteratura, ha dato indicazioni sulle modalità di sintesi e di presentazione dei dati e su come formulare delle raccomandazioni operative. Fino a non molto tempo fa era convinzione comune che, una volta acquisite e fatte pervenire ai diretti interessati le informazioni corrette, la conseguente modifica dei comportamenti sarebbe stato un fatto automatico; più o meno un percorso lineare di causa ed effetto. Ma oggi si sa bene che non è così. Si è iniziato, quindi, a studiare l’organizzazione nel suo complesso nel tentativo di individuare i punti critici e di forza nell’imprevedibile processo di implementazione delle linee-guida.

Luciana Ballini e Alessandro Liberati, ai quali mi lega un lungo percorso di studio, di amicizia e di stima, si inseriscono autorevolmente in questa proficua area di lavoro. Essi, da molto tempo direttamente impegnati nel sostenere e condurre progetti di miglioramento della qualità delle cure, ci offrono un’ottima sintesi dei numerosi fattori che possono ostacolare o favorire la modifica dei comportamenti nel senso desiderato, spiegandoci anche le principali linee di pensiero. In questo senso “Linee-guida per la pratica clinica” (2004, Roma, Il Pensiero Scientifico Editore, ndr) è un libro di grande interesse pratico e speculativo, unico nel suo genere e particolarmente utile per tutti coloro che, avendo responsabilità gestionali, desiderano avviare iniziative per sostenere il processo di trasferimento delle conoscenze a partire dalla realtà lavorativa.
È singolare, tuttavia, dover ammettere che dopo tanti tentativi per individuare i fattori capaci di sostenere questo processo, la ricerca scientifica sia ancora praticamente all’inizio. “Dopo quindici anni di ricerca non si è progrediti molto rispetto ad una lista di interventi di dubbia efficacia, ma per i quali non siamo in grado di distinguere punti di forza e punti di debolezza”, riferiscono gli autori, fino a concludere che “nessuno degli approcci è migliore degli altri per qualsiasi cambiamento in ogni contesto e che probabilmente sono tutti necessari”.

In questo senso credo sia opportuno chiedersi se il problema non sia tanto nella inefficacia dei vari interventi, quanto piuttosto nella inadeguatezza del metodo scientifico finora utilizzato per studiarli. Con l’emergere delle leggi della complessità è sostanzialmente caduto l’assunto secondo cui la spiegazione dei fenomeni possa essere sempre trovata attraverso lo studio delle singole parti. Oggi sappiamo con certezza che la comprensione di molta parte di ciò che ci circonda non passa attraverso lo studio e il controllo delle singole variabili, perché sono proprio le interazioni tra le diverse componenti che danno ragione del fenomeno, come fatto unico e irripetibile. Rompendo le relazioni scompare anche il loro effetto.

Le organizzazioni sanitarie, così come la cultura che le caratterizza, sono sistemi complessi. Il loro funzionamento va quindi ricercato sfruttando leggi e conoscenze sulla complessità che negli ultimi decenni sono progredite in ogni ambito del sapere – fisica, biologia, economia e scienze sociali – ma che restano ancora per gran parte misteriose. Nuovi modelli per l’acquisizione delle conoscenze e il loro trasferimento in domini diversi, quali la metafora e la narrazione, potrebbero aiutarci anche nella esplicitazione di questo percorso.

Linee-guida per la pratica clinica” è uno di quei testi che dovrebbero trovare posto sulla scrivania per essere letto, riletto, sottolineato e continuamente ripreso, soprattutto da parte di tutti coloro che si richiamano ai principi del governo clinico. Sono convinto che questo libro non solo possa offrire tantissimi spunti immediati di miglioramento della qualità dell’assistenza, ma soprattutto ponga le basi per un salto qualitativo nel modo di affrontare i problemi dell’organizzazione e del miglioramento della qualità, verso nuovi orizzonti di ricerca, di studio e di lavoro.

 

30 giugno 2005

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