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L’EBM contro (e pro) i cattivi maestri

 
Attenti alle bufale - copertinaCon il libro "Attenti alle bufale", (Il Pensiero Scientifico Editore, 2005) Tom Jefferson mette il dito nella piaga in tutta una serie di problematiche che affliggono oggi la ricerca clinica. Le bufale dalle quali Jefferson ci invita a guardarci non sono ovviamente quei lenti bovini dal cui latte si ricavano delle famose mozzarelle ma, come chiarito nel sottotitolo, quelle informazioni distorte o artefatte in campo biomedico che possono essere messe in evi­denza usando la evidence-based medicine, difenden­doci così da quelli che lui definisce i “cattivi maestri”.
Il tono è irriverente, leggero (talvolta sin troppo bat­tutista) ma gli argomenti sono serissimi, largamente dibattuti nella letteratura scientifica internazionale e spaziano dal controllo della qualità dell’evidenza scientifica a come questa viene diffusa alla comunità medica, dal ruolo delle riviste nel pubblicare nuove conoscenze al fenomeno del disease mongering.

La qualità dell’evidenza scientifica sulla efficacia degli interventi medici

Il paradigma di riferimento per la valutazione dell’efficacia degli interventi medici è universalmente riconosciuto essere quello delle speri­mentazioni cliniche controllate e randomizzate (RCT: randomised clinical trial). Sicch nella lettura di un articolo scientifico che descrive una sperimentazione di questo tipo si è portati naturalmente ad attribuire un alto livello di credibilità ai risultati riportati nell’articolo. Vi sono però situazioni che devono indurre ad una mag­giore cautela e a un sano scetticismo. Vi sono infatti molti metodi che possono indirizzare nel verso voluto i risultati di una sperimentazione clinica, quali il ricorso ad un trattamento di controllo noto per essere di efficacia inferiore a quello che si sta studiando, usare end-points multipli e selezionare, per la pubblicazione, quelli che hanno dato un esito favorevole, condurre delle analisi secondarie in sottogruppi e selezionare quelle più fa-vorevoli, ecc. In sintesi è possibile, mantenendo standard tecnici di elevata qualità, ottenere la risposta desiderata ponendo semplicemente il quesito “giusto”. Jefferson descrive in modo semplificato, non tecnicistico, ma efficace le principali strategie adottate per “calibrare” a priori i risultati di una sperimentazione.


La comunicazione tra ricerca e pratica medica

Una volta conclusa una sperimentazione che ha fornito risultati favorevoli ad un trattamento, si innesca un meccanismo di comunicazione di questi risultati per favorire l’adozione del trattamento nella pratica medica. Anche in questo processo, che Jefferson clas­sifica brutalmente come marketing, vi sono strategie ben definite. Ad esempio quella basata su iniziative, quali i simposi satellite all’interno di importanti convegni scien­tifici, nel cui ambito sono spesso utilizzati i cosiddetti KOL (key opinion leader) persone cioè in grado, su temi molto specifici, di influenzare l’opinione della platea. Jefferson nel suo glossario (o gergotomo come ama definirlo) ne fornisce la seguente definizione: “persona-lità eminente della medicina universitaria od ospedaliera regolarmente presente tra i relatori dei simposi satelliti (…). Quando uno sponsor deve comunicare qualcosa in maniera autorevole chiama uno o più KOL a fare da portavoce. Questa pratica si chiama: rent-a-kol“.
All’identificazione di strumenti di valutazione critica è dedicato un capitolo intero del libro (Bufala spotting) la cui lettura è scorrevole, a tratti molto divertente, ma anche molto inquietante.


Il ruolo delle riviste, delle società scientifiche e delle agenzie regolatorie

Che vi sia una preoccupazione nel mondo scientifico su come viene prodotta e descrit­ta la conoscenza scientifica in campo biomedico non è una invenzione di Jefferson ma è attestato da diverse prese di posizioni molto autorevoli.

Lo stesso processo di peer review (definito nel libro “scienza inesatta e qualitativa”), adottato dalle principali riviste scientifiche in campo biomedico, non garantisce da possibili distorsioni (come casi recenti di truffe scien­tifiche stanno a dimostrare). Gli editor delle riviste non riusciranno mai ad effettuare un controllo completo, ad esempio, di tutti gli studi (pubblicati e non pubblicati) correlati a quello che stanno valutando. Tutto ciò è par­ticolarmente importante se si considera che il risultato di un RCT è assunto essere la forma di evidenza scientifica più solida in campo biomedico e che un RCT pubblicato in una rivista importante riceverà la stima del giornale con una probabile copertura anche da parte della stampa. La conseguenza è che la rilevanza del giornale nel quale sono pubblicati i risultati, misurata attraverso l’Impact Factor, potrà essere usata come strumento di promozione [1]. Molto divertente è nel libro la definizione di questa misura. Ma su questi aspetti, si potrebbe argomentare, vi dovrebbe essere un ruolo preciso da parte delle princi­pali agenzie regolatorie (l’FDA e l’EMEA).

A questo riguardo Jerry Avorn recentemente ha es­presso delle critiche piuttosto nette: “Like a patient with obsessive-compulsive disorder, the agency (FDA) is single-mindedly preoccupied with demanding the meticulous performance of a series of relatively simple acts proving that a new medication is superior to a usu­ally irrelevant comparison treatment (such as placebo) in achieving a potentially irrelevant outcome (such as a surrogate measure). The sloppiness resides not in the quality of execution the FDA requires, which is high, but in the questions it asks” [2] .

Spesso gli RCT sono talmente ben descritti da ren­dere arduo il compito di smascherarne eventuali difetti. Sono nate società specializzate per scrivere i protocolli di ricerca, per gestire ed analizzare i dati, ed anche per la stesura degli articoli scientifici. Le stesse presen­tazioni ai convegni sono spesso curate da specialisti della comunicazione (con stili chiaramente riconosci­bili, come ricorda Jefferson, anche in presentazioni di ricercatori diversi).

La principale preoccupazione è che attraverso questi meccanismi vengano promossi trattamenti che possono essere assunti per lunghi periodi di tempo da un numero enorme di persone sostanzialmente sane, creando dei veri e propri blockbuster (il fenomeno del cosiddetto disease mongering) [3, 4].

Jefferson nell’argomentare in maniera irriverente sul tema del disease mongering (inventa una malattia) ancora un volta è in buona compagnia.

In un ponderoso rapporto (126 pagine) dell’Health Committee della House of Commons inglese viene affrontato il problema della medicalizzazione in questi termini: “What has been described as the ‘medicalisation’ of society – the belief that every problem requires medical treatment – may also be attributed in part to the activities of the pharmaceutical industry (…) There has been a trend towards categorising more and more indi­viduals as ‘abnormal’ or in need of drug treatment (…) Where disease awareness campaigns end and disease mongering begin is a very indistinct line” [5].


Percorso di lettura

Jefferson ci offre un percorso di lettura ironica, dis­sacrante (come in genere sanno fare gli epidemiologi abituati a riflettere in maniera auto-critica sui limiti dei loro metodi) di temi che, come si diceva all’inizio sono serissimi e che sono da inquadrare anche in un contesto di eticità della ricerca in campo biomedico. Quando in un paese, quale gli USA, vi sono circa 46 milioni di per­sone che non possono accedere a cure mediche di base perché non assicurate e contemporaneamente sono spesi miliardi di dollari ogni anno per la cura della calvizie, è evidente che si pone un forte problema di disequità [5].

La verità è, capovolgendo una argomentazione di Jefferson, che i “cattivi maestri” hanno imparato ad usare (e molto bene) la evidence-based medicine come strumento di promozione e diffusione anche di trattamenti di scarso valore terapeutico. Per questo è importante ogni tanto ascoltare delle voci fuori dal coro, come nel caso di questo libro divertente, da tenere sulla scrivania se non altro come pro memoria per mantenere alta l’attenzione nei riguardi dei tanti Dulcamara che Donizetti nell’Elisir d’amore faceva cantare:

Benefattor degli uomini
riparator dei mali, in pochi giorni io sgomber
io spazzo gli spedal
e la salute a vendere
per tutto il mondo io vo.


Bibliografia

  1. Smith R. Medical journals are an extension of the marketing arm of pharmaceutical companies. PLoS Med 2005;2(5): e138.
  2. Avorn J. FDA Standards – Good enough for government work? N Engl J Med 2005; 353: 969-972.
  3. Moynihan R, Heath I, Henry D. Selling sickness: the pharmaceu­tical industry and disease mongering. BMJ 2002;324:886-91.
  4. Ministero della Salute – AIFA. Nasce prima il farmaco o la malattia? (Editoriale). Bollettino d’Informazione sui Farmaci 2005;3:97-8.
  5. House of Commons Health Committee. The influence of the pharmaceutical industry.
  6. Caplan A, Elliott C. Is it ethical to use enhancement technolo­gies to make us better than well? PLoS Med 2004;1(3):e52.

13 settembre 2006

Recensione pubblicata sugli Annali dell’Istituto Superiore di Sanità 2006; 42: 100-2 (PDF, 470 Kb)

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