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Linee-guida: libertà come forma di disciplina

Trent’anni fa nascono le linee-guida (LG) come strumento di miglioramento della qualità d’assistenza. Dopo un periodo di crescita e assestamento possiamo forse dire che oggi hanno raggiunto una loro maturità come strumento di lavoro…

La maturità in genere anticipa la conclusione di un processo di apprendimento e cambiamento; io voglio credere che le LG siano ancora sufficientemente “immature” da continuare ad avere voglia di crescere e di cambiare. Direi piuttosto che è maturato il rapporto tra lo strumento e gli utilizzatori: sono stati superati pre-concetti, diffidenze ed entusiasmi incondizionati, e da un confronto, alternativamente litigioso e adulatorio, si è passati ad un dialogo critico ed esigente.

Quali sono le finalità di questo strumento?

Le LG nascono come uno strumento che ha l’obiettivo di permettere all’operatore di fare scelte “informate” basandosi sulla analisi delle prove scientifiche e sulla valutazione dei rischi e dei benefici di qualsiasi azione. Inoltre, le LG dovrebbero anche essere il luogo della esplicitazione dei punti di vista o, come si dice un po’ più freddamente, di quelli dei diversi “portatori di interessi”. Questo è quello che le LG devono, o meglio, dovrebbero fare. Altra domanda è a che cosa come strumento possano servire.

A cosa può servire questo strumento?

Di fatto, le LG sono uno strumento di aggiornamento per i professionisti, di educazione e informazione per i pazienti, di riferimento esterno attraverso cui rendere possibile una verifica e valutazione di ciò che i servizi fanno.

Quali sono i suoi pregi e quali i suoi difetti?

Anche in questo caso mi risulta più facile distinguere tra lo strumento e le sue finalità. Il peggior difetto che uno strumento possa avere è di essere stato costruito male (e quindi di non funzionare oppure di funzionare male). La crescita delle LG è stata affiancata da una discussione dettagliata dei requisiti metodologici essenziali. Se il pregio principale delle LG è la loro trasparenza, la cosa peggiore che possa capitare è che vengano strutturate e costruite in modo non trasparente (ad esempio, non chiarendo quale criterio si è seguito per scegliere gli studi su cui basarsi, quali sono stati i criteri attraverso i quali si sono identificati gli esperti che devono filtrare ed analizzare queste informazioni, ecc.). Peraltro, come spesso accade, anche i metodi con cui fare buone LG sono in continua evoluzione. Oggi c’è un crescente consenso sulla necessità di criteri espliciti per valutare gli studi, sull’importanza di un confronto multidisciplinare tra gli operatori e sulla necessità di formulare raccomandazioni, semplici, chiare e, soprattutto, misurabili.

E dal punto di vista della finalità…

Da questo punto di vista, la peggiore cosa che possa accadere ad uno strumento è di essere utilizzato male. E qui si entra nell’ambito dell’uso delle LG non solo come guida alla pratica clinica per il singolo professionista, ma anche come strumento per la programmazione e la valutazione dei servizi. Sino ad oggi l’errore più comune è stato di avere considerato le LG come di esclusivo interesse dei clinici con la conseguenza di ritenere che solo questi ultimi siano responsabili della loro applicazione. In realtà, la loro adozione dovrebbe essere responsabilità dei professionisti sanitari, dei pazienti (per quanto loro compete) e della organizzazione sanitaria che mette a disposizione le risorse e gli strumenti necessari all’assistenza.

Da sociologa come vede la stesura di regole condivise e la loro acquisizione? Come vengono recepite?

Da sociologa dico che le regole sono l’elemento fondante del vivere in società: qualsiasi rivendicazione di mancanza di regole o libertà dalle regole è un falso perché finisce col rappresentare una salvaguardia delle regole implicite. Il pericolo sta nelle regole non espresse che da una parte non permettono di dichiararne e argomentarne la mancata condivisione (permettendone l’evoluzione e il cambiamento), dall’altra non permettono – a chi inevitabilmente le applica e le subisce – di riconoscerle e valutarle (ed eventualmente difendersene).
Le raccomandazioni per la pratica clinica non devono essere viste come “norme”: sono indicazioni informate da un processo di revisione sistematica della letteratura e da un processo multidisciplinare di valutazione della loro ricaduta sulla pratica clinica. L’elemento normativo, se c’è, non sta nel loro contenuto specifico bensì nel patto implicito, nel momento in cui si accetta che esse diventino luogo del confronto e della esplicitazione delle regole. È proprio in questo aspetto che personalmente vedo la maturazione del rapporto tra strumento e utilizzatori di cui parlavo all’inizio.

Riconosce delle differenze tra la realtà italiana e quella statunitense? e tra la realtà italiana e quella di altri paesi europei?

La principale differenza tra l’Italia e i paesi del Nord Europa e del Nord America sta nel ritardo con cui le istituzioni nel nostro Paese hanno compreso le potenzialità dello strumento per la programmazione delle attività, per la ricerca di soluzioni organizzative coerenti con un servizio efficace ed appropriato, e per la promozione di piani di miglioramento della qualità assistenziale. Questo fa sì che l’input maggiore all’utilizzo delle LC provenga quasi esclusivamente da professionisti “illuminati” (clinici o amministratori) e, purtroppo, che gli sforzi attuati appaiano episodici e slegati dalla programmazione centrale.

Le LG possono incontrare una certa resistenza in nome della libertà clinica. Lei ritiene che essere guidati nel lavoro clinico penalizzi la professionalità del singolo?

Riprendo il concetto di prima: la libertà clinica è un concetto che va ben chiarito. Se con esso intendiamo libertà di non dover dar atto del proprio operato, allora siamo in presenza di una negazione di qualunque basilare regola di democrazia sociale. Se invece intendiamo “autonomia e possibilità di difendere i propri valori attraverso un dialogo ed un confronto senza condizionamenti”, allora si può parlare di libertà clinica. Ma non vedo in che cosa le LG ostacolino la pratica di questo concetto. Mi pare al contrario che ne siano un enzima essenziale. L’attività di un medico è condizionata da regole scientifiche, etiche e morali, ed è costantemente guidata dalla sua conoscenza, professionalità, esperienza nonché appartenenza ad una collettività con caratteristiche sociali ed economiche ben definite.

Nessuna perdita di autonomia quindi…

Quella che viene comunemente paventata è la perdita di “autonomia” professionale, ma il discorso non è poi così diverso. I professionisti da sempre esercitano una forma di controllo e di autoregolazione sul loro operato, sia a livello individuale sia “corporativo”. Il passaggio da una medicina basata su una valutazione implicita e un consenso professionale ad una pratica basata sulla sistematizzazione delle conoscenze scientifiche è pregiudiziale allo sviluppo di un concetto integrato di qualità della cura. In questo scenario l’autonomia professionale si arricchisce della responsabilità di rendere conto delle proprie decisioni e dei propri risultati ad un ambito che vada al di là della personale cerchia professionale. Si tratta insomma dell’antico equilibrio tra autonomia e responsabilità.

Le LG sono davvero uno strumento a senso unico nell’organizzazione del lavoro? Qual è la sua opinione in merito?

Parte del processo di maturazione sta proprio nel non considerare le LG uno strumento a senso unico che va dai produttori agli utilizzatori. Si stanno raffinando gli strumenti metodologici di produzione e si sta diffondendo la consapevolezza della necessità di un ritorno di informazione dagli utilizzatori ai produttori. Uno degli obiettivi della ricerca sull’implementazione, cioè sui metodi di trasferimento delle raccomandazioni cliniche nella pratica, è quello di informare i produttori delle LG su quali sono i problemi dell’applicazione che derivano dalla complessità dei casi trattati e dalla rilevanza delle indicazioni proposte, per fornire un contributo alle “agende” di lavoro.

Cosa ne pensa invece della “non resistenza” che le LG possono incontrare? Si può parlare di reale adesione e accettazione oppure il medico viene mosso da una sorta di opportunismo, ad esempio per sentirsi legalmente salvaguardato in caso di errore clinico?

Certo. Le LG possono ingenerare comportamenti difensivi e anche opportunistici. Tuttavia, non credo sia un buon modo di ragionare anteporre pericoli presunti ad una discussione esplicita dei rischi e dei benefici in funzione di quello che vogliamo cambiare. Mi riferisco alla inappropriatezza di molte prestazioni, alla diffusione di interventi la cui utilità non è mai stata dimostrata e alla possibilità che i singoli esperti possano dire, indisturbati, la loro anche quando è evidente che difendono interessi di corporazione o, peggio, personali.

Nel recente congresso della Cochrane a Ottawa si è parlato di LG?

Sì, si è parlato di diversi strumenti, dalle revisioni sistematiche alle LG. Il convegno, intitolato “Bridging the Gap”, era dedicato alle strategie per unire il mondo della ricerca scientifica con quello della pratica clinica. Oltre ai dibattiti sugli aspetti metodologici di messa a punto di questi strumenti (metodi di analisi statistica e di disegno dei trial clinici) si è discusso principalmente di trasferibilità: come formulare raccomandazioni scientifiche per i decisori oltre che per i professionisti; come sviluppare sistemi di prioritarizzazione sia della ricerca sia della programmazione dei servizi; come potenziare il ruolo dei consumatori nella interpretazione e valutazione dei risultati della ricerca. Da sociologa ho trovato questo convegno molto stimolante, perché ci si è confrontati con la complessità di sistemi e organismi di diversa nazionalità, e quindi differente condizione sociale, economica e politica, che attuano scelte nel campo dell’assistenza sanitaria. E, poiché si era in un Colloquium della Cochrane Collaboration, lo stimolo più forte è venuto dalla proposta di sviluppare questi temi, pertinenti alle scienze sociali, con il rigore e la trasparenza propri della metodologia della Cochrane.

Lei ha recentemente pubblicato un libro dal titolo Linee-guida per la pratica clinica. Metodologia per l’implementazione. Come è nata l’idea del libro?

L’idea del libro è nata principalmente dal desiderio di raccontare e ri-ordinare esperienze e spunti colti nel corso di una sperimentazione condotta in Italia sull’implementazione di LG a cui hanno partecipato alcune Aziende sanitarie (Progetto T.Ri.P.S.S.Trasferire i Risultati della ricerca nella Pratica dei Servizi Sanitari – finanziato dal ministero della salute). Lavorando con le Aziende sanitarie ci siamo confrontati con una serie di problemi e tramite lo studio comparativo dei diversi contesti, abbiamo cercato di definire i contenuti dei programmi locali di implementazione e di offrire un metodo di lavoro.
Un programma di implementazione consiste nella scelta delle raccomandazioni per la pratica clinica maggiormente utili alla cura dei propri pazienti, nell’analisi dei fattori di contesto che possono ostacolare la loro adozione nella pratica, la rimozione di queste barriere e la valutazione dei risultati ottenuti.
Il problema principale è stata la mancanza di un metodo di analisi del proprio contesto, finalizzato sia alla scelta delle raccomandazioni sia alla individuazione delle barriere, che risultasse svincolato da fattori contingenti, quali la disponibilità o meno al cambiamento, la complessità dell’argomento clinico, la composizione del gruppo multidisciplinare, ecc. In questo campo la sociologia mette a disposizione strumenti di analisi basilari. Il libro è quindi frutto dello sforzo fatto per individuare un metodo di analisi strutturato e riproducibile (analisi comparativa) che definisca le priorità e isoli le difficoltà evitando condizionamenti da interessi di parte, squilibri di potere, emergenze momentanee e quant’altro possa determinare una visione parziale del servizio.

Quale vuole essere la funzione?

Ci siamo posti tre obiettivi principali.
1) Fornire, come già detto, una metodologia per lo sviluppo di programmi di trasferimento dei risultati della ricerca nella pratica.
2) “Fissare” un principio essenziale: il miglioramento della qualità della pratica clinica non si esaurisce con la modifica del comportamento dei professionisti sanitari.
Per quasi 15 anni la ricerca sull’implementazione si è dedicata allo studio di strumenti e strategie per cambiare il comportamento degli individui. La nostra esperienza ci ha insegnato che occorre studiare con altrettanto impegno come l’organizzazione influenza e condiziona il comportamento degli individui. E non intendiamo con questo la cultura dell’organizzazione (votata o meno al cambiamento), ma proprio il “processo produttivo”, vale a dire la capacità di una organizzazione di sostenere in termini operativi il cambiamento richiesto. Spesso l’applicazione di una raccomandazione è ostacolata da barriere di natura organizzativa e strutturale: modalità di prenotazione, tempi di attesa, accordi o convenzioni incompatibili. Queste barriere vengono però spesso tralasciate per privilegiare l’analisi di resistenze attitudinali o motivazionali da parte degli individui.
Nel libro cerchiamo di fornire una guida ad una analisi meno parziale delle difficoltà per la messa a punto di piani di implementazione che analizzino le probabili ricadute di un cambiamento sulla organizzazione e gestione dei servizi oltre che sulla pratica clinica.
3) Proporre alle Aziende sanitarie di utilizzare i programmi di implementazione di LG come progetti di ricerca che esplorino quanto l’adozione di raccomandazioni scientifiche possa contribuire al miglioramento della qualità dell’assistenza e quanto gli interventi di implementazione adottati abbiano rimosso le barriere individuate e favorito il cambiamento.
Con questi tre obiettivi abbiamo cercato di ricondurre i programmi di implementazione nell’ambito del governo clinico, utilizzandone gli strumenti principali: le prove scientifiche, i rapporti funzionali del governo delle attività e l’audit clinico.

A chi è rivolto?

Il libro è rivolto principalmente alle Direzioni sanitarie e Direzioni strategiche delle Aziende sanitarie, a cui sono affidati gli strumenti della pianificazione e valutazione della qualità dell’assistenza. Avendo individuato e definito le responsabilità dei professionisti dell’organizzazione nell’implementazione delle LG, nel libro sosteniamo che questa attività possa essere svolta appieno solo se intrapresa, o perlomeno sostenuta, dalla Direzione Sanitaria.
Tuttavia uno degli aspetti più innovativi del governo clinico sta nel ricondurre le decisioni cliniche-assistenziali nell’ambito delle scelte organizzative e gestionali. Questo non solo per una condivisione della responsabilità sulla allocazione delle risorse, ma anche perché gli aspetti dell’assistenza che riguardano l’accesso ai servizi e la struttura delle organizzazioni hanno una diretta ricaduta sulla qualità e sugli esiti dell’assistenza.
In conclusione, penso di poter dire che un concetto-chiave che spero rimanga in chi avrà la pazienza di leggere il nostro libro è che noi proponiamo una metodologia che assegna ai professionisti sanitari un ruolo decisivo nella crescita di un’organizzazione dei servizi coerente con la logica clinica e assistenziale delle prestazioni. In questa ottica, la multidisciplinarietà dell’assistenza diventa, come sottolineato da altri, “un obbligo professionale piuttosto che una evoluzione culturale”.

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