In primo piano

Non c’è due senza tre

Non c’è due senza tre

 
 
copertina del libro Manuale di terapia cardiovascolare Il Manuale di Terapia Cardiovascolare del Dipartimento cardiologico “Angelo De Gasperis”  è arrivato alla terza edizione. Sono stati aggiunti nuovi capitoli su aspetti clinici importanti: le complicanze delle terapie antitrombotiche, il ruolo della cardiochirurgia nel trattamento delle aritmie, le cardiopatie congenite dell’adulto, la gravidanza nella donna con cardiopatia. Per completare l’offerta informativa, un intero capitolo è stato dedicato al presente e futuro della genetica nella terapia cardiovascolare. Altri capitoli sono stati aggiornati e riscrittiex novo per colmare lacune esistenti e includere importanti evoluzioni degli ultimi anni.

Sono passati quattro anni dalla seconda edizione del Manuale. Quali sono stati, nel frattempo, i rilevanti cambiamenti nello sviluppo della terapia cardiovascolare?

Il contesto attuale di evoluzione della terapia cardiovascolare presenta aspetti critici. Lo sviluppo di nuovi farmaci per le patologie di maggior impatto epidemiologico è sempre più difficoltoso, come dimostrato dalla mancanza di nuove terapie di largo impiego nei quattro anni che separano la presente edizione del Manuale dalla precedente. C’è da dire che, ad eccezione del dabigatran che semplificando la terapia anticoagulante orale, prospetta un significativo miglioramento della qualità della vita per milioni di pazienti, le poche new entries costituiscono per lo più miglioramenti marginali, ancorch significativi, rispetto ai farmaci preesistenti. Alcuni farmaci promettenti nella terapia delle disfunzioni metaboliche di maggior impatto cardiovascolare hanno subito tracolli inattesi in fase avanzata di sviluppo o poco dopo la commercializzazione, in base a un margine terapeutico ristretto o a dati fragili di farmacovigilanza.

Come spiega questa precarietà dello sviluppo di nuovi farmaci?

Le ragioni sono diverse e complesse. Innanzitutto, va considerato che, dopo trent’anni di rivoluzioni farmacologiche che hanno contribuito a migliorare drammaticamente la prognosi delle malattie cardiovascolari, c’è ora grande cautela da parte delle agenzie regolatorie nei confronti di nuovi farmaci più costosi o con un fragile equilibrio tra efficacia e sicurezza. In parte, però, la precarietà dei nuovi farmaci risiede nella loro breve durata di redditività commerciale imposta dalla scadenza del brevetto: lo sviluppo segue tappe forzate, con scarsa definizione del profilo farmacologico, e la ricerca successiva non trova le motivazioni necessarie a definire con sufficiente evidenza le modalità d’impiego di farmaci con grande potenzialità. Eppure, la documentazione delle terapie farmacologiche è la migliore attualmente disponibile, perché comunque basata su ampie sperimentazioni cliniche vagliate con gran cura dalle agenzie regolatorie.

Per quanto riguarda lo sviluppo di device?

Purtroppo e inspiegabilmente, lo sviluppo di device non segue lo stesso rigore, potendosi applicare a un gran numero di pazienti protesi o apparecchiature elettroniche documentate per neutralità biologica in piccole serie di casi, ma senza una minima valutazione del rapporto rischio/beneficio e costo/beneficio. Questo limite è ancora maggiore per le terapie chirurgiche, campo in cui le sperimentazioni cliniche controllate costituiscono l’eccezione piuttosto che la regola. Per non parlare delle indagini diagnostiche sia biochimiche che di imaging, il cui costo sta lievitando più di quello delle cure, senza che sia vagliato il valore decisionale aggiunto rispetto alla diagnostica consolidata. Il risultato di questa complessità è l’attuale difficoltà in cui si muovono le linee-guida di pratica clinica, in cui una gran parte delle raccomandazioni non sono sostenute da soddisfacenti livelli di evidenza, anche per patologie epidemiologicamente dominanti.

Lo scenario delineato è che la ricerca e lo sviluppo di nuove terapie stiano attraversando una fase di stallo. Intravede una via di uscita? Non è che ci sia ormai poco di nuovo da ricercare?

Il problema è che pochissima ricerca clinica viene fatta al di fuori degli stretti binari imposti dall’industria, per la scarsa volontà e capacità delle società scientifiche nel progettare studi indipendenti di reale impatto clinico, per l’incapacità da parte del decisore pubblico di valutare l’appropriatezza delle procedure diagnostiche e terapeutiche e di riservare i finanziamenti a quelle di provato valore. È sotto gli occhi di tutti che, laddove questo sforzo congiunto è stato prodotto (basti pensare alla terapia dell’infarto miocardico acuto, con la completa riorganizzazione delle strategie terapeutiche), il balzo in avanti è stato rapido.
In questo contesto, in controtendenza rispetto al trend tecnocratico degli ultimi decenni, assume crescente importanza il ruolo del giudizio clinico nel saper scegliere la migliore cura per il singolo paziente, avendo la cultura, l’esperienza e il coraggio per gestire i casi più complessi, e rifuggendo dall’eccessiva medicalizzazione di quelli semplici.

 

26 ottobre 2010

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *