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Parole senza frontiere
Parole senza frontiere Kostas Moschochoritis, Direttore generale MSF Italia Marina Berdini, Ufficio stampa MSF Italia Gianfranco De Maio, Responsabile medico MSF Italia Andrea Pontiroli, Ufficio stampa MSF Italia Stefano Manfredi, Reclutamento e gestione operatori umanitari MSF Italia
Kostas Moschochoritis, Direttore generale MSF Italia Perch regalare questo libro? Questo libro rappresenta per me una parte del mio passato… Lo regalerei per far capire cosa significa operare nelle situazioni di emergenza per MSF. È un lavoro che richiede una precisa preparazione e specializzazione per raggiungere degli obiettivi ma che deve andare mano nella mano con uno spirito umanitario. Non è facile continuare a lavorare in quei contesti dove le popolazioni vivono in condizioni di estrema precarietà, in situazioni di conflitto etc. come non lo è continuare a lavorare quando si vede morire di malnutrizione un bambino di uno o due anni. L’aspetto professionale e umanitario di questo "mestiere" viene ben rappresentato dalle lettere raccolte in "Non tornerò col dubbio e con il vuoto": un vero e proprio viaggio nella realtà. Qual è stata la sua esperienza in MSF? La mia esperienza è iniziata nel 1995 quando sono partito per l’Armenia come logista-amministratore. Ho lavorato sei, sette anni sul campo nel Sudest asiatico, in America latina, in Africa e nell’Europa dell’est. Sono poi passato alla gestione delle operazioni di MSF dalla sede di Bruxelles e di Roma e attualmente sono il Direttore generale di MSF Italia. Quali sono le problematiche per portare avanti una organizzazione umanitaria come MSF? Una organizzazione umanitaria deve essere indipendente, neutrale e imparziale; tre principi essenziali che vanno sempre salvaguardati. Inoltre, deve avere una chiara strategia e qualità d’intervento a favore dei propri beneficiari. Un ulteriore aspetto importante per una organizzazione di emergenza come la nostra è l’autonomia economico-finanziaria per garantire la tempestività degli interventi ed evitare ogni influenza esterna da parte di agende politiche o altre. Per questo è importante per noi di MSF avere il supporto di donatori privati: è una garanzia per agire prontamente, laddove ci porta il nostro spirito umanitario. Marina Berdini, Ufficio stampa MSF Italia Come è nata l’idea di "Non tornerò col dubbio e con il vuoto"? Siamo stati contatti dall’editore che aveva interesse a pubblicare una raccolta di Lettere senza frontiere, scritte dai nostri operatori umanitari. La proposta è arrivata proprio quando volevamo fare una nuova edizione di una raccolta simile, che era già stata pubblicata molti anni fa. E da questo incontro è nato "Non tornerò col dubbio e con il vuoto". Come avete scelto le lettere? MSF opera in 65 Paesi diversi, per questo abbiamo cercato di dare una panoramica più ampia possibile del nostro lavoro sia dal punto di vista sanitario sia dal punto di vista amministrativo e logistico e di tutto ciò che comporta l’organizzazione di una missione dove MSF opera. Perch regalerebbe questo libro? Un libro fa sempre piacere. Credo che si tratti di un volume speciale perché è una raccolta di lettere, scritte da chi ha vissuto sulla propria pelle le condizioni di emergenza, in cui non sono descritte solo situazioni drammatiche, ma anche circostanze positive. È un regalo particolare da mettere sotto l’albero di Natale… e io lo farò sicuramente! Qual è la sua esperienza a MSF? Mi occupo dei progetti editoriali di MSF Italia e ho avuto la fortuna di visitare i progetti in Cambogia e in Colombia. Un’esperienza toccante perché ho avuto modo di vedere come MSF opera sul campo e, in particolare, di parlare con i nostri pazienti. Gianfranco De Maio, Responsabile medico MSF Italia Perch consiglierebbe "Non tornerò col dubbio e con il vuoto"? Perch permette di confrontarsi con la gente come noi e fa sentire partecipe il lettore, quasi come fosse lui stesso a scrivere. Le lettere sono state scritte da persone "normali": professionisti che hanno svolto o continuano a svolgere in Italia la loro professione medica, sanitaria o di altro tipo e che, per un periodo della loro vita, hanno avuto l’opportunità di recarsi in un’altra parte del mondo. Quindi, in un altrove geografico, con una situazione professionale completamente diversa, però, sostenuti da un’organizzazione che non li lascia a se stessi. Perch il problema di chi parte è proprio quello di trovarsi da solo. Invece, partendo con il sostegno di un’organizzazione, hai sempre la possibilità di confrontarti con qualcuno, non solo nei momenti di pericolo, ma anche quando hai dei dubbi o un senso di vuoto. Come ha scelto di partire con MSF? Ero un medico di 40 anni, conducevo una vita senza troppi problemi e non cercavo di fuggire da qualcosa, tuttavia, ero alla ricerca di qualcos’altro. E quindi, mi sono avventurato in questa esperienza, approfittando del fatto che era un periodo particolare, che mi ha permesso di studiare, per completare la mia formazione e sono partito. Come viaggiatore (e non turista) ho scoperto un altro me stesso. L’ambiente esterno può fare paura, ma può rappresentare anche una sorta di specchio in cui scoprire se stessi. Quando vado fuori, mi trovo in una condizione di equilibrio sia mentale sia fisico, probabilmente, perché si stratta di situazioni a termine che durano alcuni mesi, ma c’è sempre un ritorno. Il rientro? Ci metto un mese circa per acclimatarmi ma, alla fine, non perdo la carica di energia (infatti, se potessi partirei ogni anno!). cambiato il suo modo di fare il medico? Sono stato in Congo, in Costa d’Avorio e ad Haiti, dove ho lavorato in situazioni di emergenza e in un modo del tutto diverso, che mi ha stimolato sia dal punto di vista culturale che professionale. Quando sono lì, faccio il medico senza tutta la strumentistica di cui disponiamo qui nelle nostre strutture: uso le mie mani, il naso, le mie orecchie… Lì non c’è la macchina che legge e interpreta per te e sei tu che devi interpretare e decidere; lì devi fare, inventarti sempre delle nuove strategie, adattando le conoscenze e le tecniche alla particolare situazione. Sono situazioni più coinvolgenti che offrono un continuo aggiornamento personale e permettono di svincolarsi dalla condizione di routine, nella quale spesso si può cadere nei nostri contesti professionali. Dopo sette anni di MSF non sono pentito di ciò che ho fatto e procedo. Scrivere le lettere è un modo di raccontarsi come lo è anche il rapporto medico-paziente. Come cambia questo rapporto quando si parlano lingue diverse e – soprattutto – si proviene da culture differenti? Quello linguistico è sicuramente un problema. Per comunicare con il paziente non basta conoscere bene la lingua ufficiale, perché viene parlata per lo più dalle persone appartenenti ai ceti sociali più alti. I più poveri, invece, parlano la lingua locale. Quindi, c’è bisogno di un mediatore linguistico, anche se in questo passaggio inevitabilmente si perde l’immediatezza. Poi c’è un altra difficoltà fondamentale ed è il modo in cui tu operatore sei "visto" dalle persone del posto: tu sei un bianco e in quanto tale puoi rappresentare il medico che sa tutto come anche quello che, invece, si presume non possa capire. In questi contesti, l’intervento di aiuto può essere efficace se tu, medico, intervieni come coordinatore, che sovraintende il lavoro degli altri medici e infermieri locali, che parlano la stessa lingua. Ad esempio, mi ricordo che quando mi trovavo ad Haiti, ero sempre teso a cercare di farmi capire, mentre vedevo che per il mio collega haitiano era molto più semplice e immediato ed era diverso il suo modo di approcciarsi alla gente. Ritengo, quindi, che idealmente al letto del paziente dovrebbe sempre esserci qualcuno che parli la sua stessa lingua, per accorciare la distanza che, inevitabilmente, separa il medico dal paziente di cultura diversa. Il contributo del medico bianco dovrebbe essere quello di supportare il lavoro degli operatori locali, mettendo a disposizione le proprie competenze, arrivando quindi al paziente attraverso una mediazione. Questo diventa essenziale soprattutto quando si lavora nei contesti più poveri. Andrea Pontiroli, Ufficio stampa MSF Italia "Rose che non sorride". È la tua lettera senza frontiera pubblicata nel libro "Non tornerò col dubbio e con il vuoto"… È una lettera che ho scritto da Gulu, località che si trova nell’Uganda del Nord. In quali altri posti hai portato il tuo contributo? Come addetto stampa di MSF il mio ruolo è quello di far parlare dei tanti paesi e dei tanti contesti in cui noi lavoriamo e di cui (troppo) poco si parla, in Italia particolarmente. Per la maggior parte del tempo, lavoro nella sede di Roma, ma spesso vado direttamente nelle zone di conflitti e di emergenze umanitarie, per accompagnare i giornalisti. Sono stato per brevi periodi in Niger nel corso di una crisi nutrizionale. E poi nel Katanga, provincia orientale della Repubblica democratica del Congo, in una situazione di sfollamento: migliaia di persone stavano fuggendo dal pericolo dei continui scontri in corso, ma nessuno ne parlava o ne dava comunicazione attraverso la stampa. Di conseguenza, solo pochi aiuti umanitari erano arrivati per supportare la popolazione assediata dalla guerra. Spesso MSF si è trovata da sola in situazioni di emergenza a dover far fronte a grandi numeri: richiamare l’attenzione sulla crisi diventa fondamentale, se si vogliono spingere altre organizzazioni umanitarie a intervenire. Andrea, perché regalare questo libro? È un libro bello per due semplici motivi. Innanzitutto, perché è scritto da non scrittori. È una raccolta di lettere scritte ad amici e familiari, senza pensare a una possibile futura pubblicazione; una raccolta di testimonianze spontanee scritte per descrivere a chi non ci è mai stato quale sia la realtà di questi posti spesso dimenticati da tutti e non battuti dal turismo, di cui non si parla nei giornali. È, quindi, un libro "vero", non pensato a tavolino, ma espressione del sentire e dell’istinto di persone, che hanno vissuto in prima linea le esperienze raccontate. Sono individui che hanno provato esperienze, sicuramente, fuori dall’ordinario, ma sono pur sempre persone "ordinarie". Il secondo motivo è che il libro smitizza la figura del volontario e del missionario. Leggendo le lettere si capisce cosa fanno gli operatori di MSF (medico, infermiera, amministratore) in questi contesti e si percepisce che i volontari sono persone comuni, magari curiose e motivate ad andare dall’altra parte del mondo, ma sono persone "umane" con le loro incertezze, paure e debolezze. Come cittadino italiano mi piacerebbe che l’Italia cominciasse a guardare al di là del proprio ombelico e a cosa succede nel resto del mondo. Mi piacerebbe che finalmente i nostri giornalisti iniziassero a spostare il dibattito al di fuori della politica interna e che non considerassero la politica estera solo per quello che viene deciso a Washington o a Bruxelles. Fuori dall’Italia, c’è un mondo di cui dovremmo parlare, nel bene e nel male; non mi riferisco soltanto alle emergenze sanitarie. Siamo un popolo di navigatori, poeti e viaggiatori, ma leggendo i nostri giornali, sembra quasi che per noi italiani il mondo inizi e finisca nel dibattito politico del nostro Paese o nel gossip più sfrenato e nei fatti di cronaca. Se fossimo un po’ meno provinciali, potremmo accorgerci che fuori dai nostri confini c’è un mondo molto più interessante dei battibecchi tra politici, del grande fratello o dell’ultimo delitto avvenuto in Italia… Stefano Manfredi, Reclutamento e gestione operatori umanitari MSF Italia Perch consiglierebbe a un amico di leggere "Non tornerò col dubbio e con il vuoto"? Questo libro è una fotografia parziale ma precisa del lavoro di MSF e di quello che fanno nella realtà gli operatori che partono con MSF. Leggendo le testimonianze raccolte si percepisce sia lo spirito umanitario nel senso più lato, cioè la vicinanza con le persone con cui e per cui andiamo a lavorare, sia la modalità di operare. Sono i due pilastri fondamentali per svolgere questo "lavoro", che non è sempre facile spiegare ad amici o familiari, i quali hanno una visione troppo romantica, oppure trovano del tutto incomprensibile quello che fanno gli operatori di MSF. C’è una lettera che avresti voluto scrivere ma che non ha scritto? Non una, ma molte! Ci sono state diverse occasioni soprattutto nella mia ultima esperienza nel Sud della Cina meridionale dove ho visto dei bambini malati di Aids morire dopo settimane di cure e ho visto come i loro familiari si relazionavano con noi e capivano che avevamo fatto tutto il possibile senza riuscire… Sono momenti che restano impressi nella memoria ma difficili da tradurre in parole… Dove ti ha portato MSF? Per due anni e mezzo sono stato in Cina in tre contesti molto diversi l’uno dall’altro. Il primo è stato in Xinjiang – una zona desertica al confine con l’Afghanistan nell’estremo ovest della Cina – dove ho coordinato un progetto di prevenzione della malattie che si trasmettono attraverso l’acqua. Poi ho seguito un progetto sulla prevenzione Hiv in una regione montuosa vicino al Tibet. Infine, mi sono spostato nel sud della Cina, dove ho coordinato una clinica per i pazienti sieropositivi da cui viene la mia lettera senza frontiere. Da un paio di anni sono rientrato in Italia. Ora di cosa ti occupi? Lavoro nella sede di MSF Italia nella gestione degli operatori non sanitari, a partire dalla selezione del candidato ideale con lo spirito e le competenze giuste fino alla sua collocazione in una delle attività di MSF dove iniziare la collaborazione e sviluppare le loro qualità Qual è il candidato ideale? E quello non ideale? Il candidato non ideale è la persona che è in fuga da qualcosa e che cerca in MSF una risposta a un problema personale o il riscatto da un’esperienza negativa. Il candidato ideale? Parla molte lingue, ha una forte personalità, flessibile e aperto nei confronti degli altri; magari ha già fatto delle esperienze all’estero; a questo si aggiunge una serie di competenze specifiche a seconda del progetto.
12 dicembre 2007 |
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